domenica 1 giugno 2008

Gli orfani di Salò e il Sessantotto nero

di Giovanni Belardelli

È da qualche anno, ormai, che gli storici si vanno interessando dei giovani, e spesso giovanissimi, italiani che dopo l' 8 settembre 1943 scelsero la Repubblica sociale, soprattutto per un atto di estrema ribellione contro il «tradimento» del re e di Badoglio. Meno noto è che, nei primi anni del dopoguerra, molti di quei giovani avrebbero animato un movimento che, per capacità di mobilitazione e vivacità culturale, può essere addirittura considerato una specie di «Sessantotto nero». Questa appunto è la definizione che utilizza Antonio Carioti, in un lavoro di grande interesse dedicato a un settore minoritario ma certo non irrilevante del mondo giovanile (Gli orfani di Salò, Mursia, pp. 293, 17). Basti ricordare la sua capacità di penetrazione nel mondo universitario: nel 1950, ad esempio, nelle elezioni per le rappresentanze studentesche i neofascisti conquistarono a Roma il primo posto. Presto i giovani missini diventano protagonisti delle agitazioni contro l' aumento delle tasse universitarie, trovando in questo la collaborazione dei coetanei di estrema sinistra. Ma la grande questione che permette loro di acquisire consensi anche nelle scuole medie è quella giuliana: nelle manifestazioni contro Tito e per il ritorno all' Italia dell' intero Territorio libero di Trieste trovano la possibilità di intercettare un sentimento patriottico che sembra ricevere scarsa o nulla attenzione dagli altri partiti.

Il ruolo dei giovani neofascisti si rivela decisivo nell' affermare con l' impiego della forza fisica il diritto del Msi a scendere in piazza, messo spesso in discussione, soprattutto nelle città del Nord, dal diretto intervento dei militanti comunisti. Il libro di Carioti restituisce qui efficacemente il quadro di un' Italia dominata, ben prima dei cosiddetti «anni di piombo», dallo scontro violento tra fascisti e comunisti. All' inizio si tratta per i missini di difendere la possibilità di scendere in piazza; ma su questo si innesta anche una tendenza a considerare positivamente la violenza, circondandola magari di un' aura eroica. Ecco come un giovane neofascista di allora descrive oggi un episodio del settembre 1947, quando Almirante fu costretto da un gran numero di militanti di sinistra a terminare un comizio dopo appena dieci minuti dall' inizio: «Eravamo in 42quel giorno e ci sentimmo come i 300 delle Termopili». Sembra che, alla ricerca di azioni clamorose, qualche neofascista progettasse addirittura l' assassinio del direttore dell' Unità Renato Mieli (padre dell' attuale direttore del Corriere). Pochi anni dopo alcuni giovani neofascisti avrebbero imboccato anche la via degli attentati dinamitardi contro le sedi di partiti e organizzazioni antifasciste.
L' intensità e la facilità con cui nei primi anni del dopoguerra l' estrema destra pratica la violenza non deve far dimenticare che anche la sinistra comunista non disdegna all' epoca metodi in parte analoghi. Tra i casi più clamorosi riferiti da Carioti, l' uccisione di Franco De Agazio, direttore del settimanale neofascista milanese Il Meridiano d' Italia, nel marzo 1947, o la devastazione della sede del Msi compiuta dal Pci torinese, che nelle modalità (mobili e documenti gettati dalle finestre, falò acceso sulla strada) sembra riprodurre le azioni squadriste del primo dopoguerra. In realtà, l' atteggiamento del partito di Togliatti nei confronti dei giovani missini è ambivalente. Da una parte, appunto, il Pci non ostacola le spinte della base in direzione di un «antifascismo militante», necessariamente violento. Dall' altra è lo stesso segretario a condividere la strategia dell' attenzione nei confronti dei reduci di Salò messa in atto soprattutto da Ruggero Zangrandi, che nel febbraio 1947 riconosce loro «un malinteso e tuttavia non troppo facilmente discutibile amor di Patria». Qualche anno dopo sarà l' allora segretario della Fgci Enrico Berlinguer a formulare giudizi analoghi, ma - come osserva Carioti - con una importante differenza. Se da principio il Pci mostrava di voler recuperare gli ex fascisti, ora nel 1950 si dichiara disposto alla collaborazione con i fascisti che continuano a dichiararsi tali: il giornale dei giovani comunisti Pattuglia, ad esempio, ospita un articolo di Pino Rauti. Il fatto è che, nel nuovo clima internazionale determinato dalla guerra di Corea, i giovani missini appaiono ai dirigenti comunisti come possibili alleati nella lotta all' «imperialismo americano». La maggioranza dei giovani neofascisti, infatti, è risolutamente antiamericana: ed è questo uno degli elementi che alimentano il conflitto continuo che li oppone a una dirigenza del Msi che, sia pure tra mille cautele, si va orientando ad accettare il Patto atlantico e la scelta occidentale dell' Italia. Più in generale, una parte cospicua del movimento giovanile contesta la scelta del partito di aprire alle forze moderate e conservatrici (monarchici, liberali, in prospettiva la stessa Dc). Quando alla Camera, nel 1949, Almirante parla di «accettazione integrale» del metodo democratico, i giovani missini protestano con forza. In particolare, ad opporsi è la corrente «spiritualista», che ha una forte influenza tra i giovani di estrema destra. Seguaci di Evola, gli «spiritualisti» considerano «americanismo» e «bolscevismo» come due facce dello stesso male, contestano il capitalismo e la società di massa, rifiutano in blocco la modernità in quanto irrimediabilmente edonistica. Il loro radicalismo, che ripropone confusamente un ritorno alla tradizione (il Sacro Romano Impero e la civiltà feudale sarebbero «le due ultime grandi apparizioni tradizionali che l' Occidente conobbe»), li porta a prendere le distanze perfino da certi aspetti del fascismo in quanto frutto anch' esso della aborrita modernità. Il libro di Carioti si arresta al 1951, quando gli «spiritualisti» conquistano la leadership del movimento giovanile. Ma queste posizioni avrebbero continuato a condizionare per anni l' estrema destra italiana, divisa tra inserimento nel sistema democratico e sua radicale contestazione.

1 commento:

  1. Pur concordando con il contenuto del libro sono in netto disaccordo con l'atteggiamento dell'autore che per riuscire a presentarlo il 19 prossimo a S. Giuliano Terme (PI)(dove i comunisti non vogliono assolutamente) ha scritto addirittura a Veltroni una sorta di 'supplica' pregandolo di intervenire in suo favore, dicendogli tra l'altro di essere "per quel che conta, un elettore del suo partito" e che la sua opera "non è affatto un'esaltazione del neofascismo, ma una pacata analisi storica, apprezzata anche da studiosi di sinistra come Mimmo Franzinelli, che l'ha presentata con me a Gorizia, e Luigi Ganapini, che l'ha presentata con me a Milano".
    Che cosa tocca fare per presentare un libro !!
    A questo punto si impone un suggerimento a Carioti: dato che c'è si iscriva al PRC e il gioco pardòn la presentazione è fatta.
    Rambo 2

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