domenica 29 giugno 2008

Mi assenterò un po’ tempo (due mesi per la precisione), accolto nell’assolata terra di Spagna. Una volta si andava lì col fucile in spalla per combattere i rossi, io mi limiterò a fare il cameriere.
Lo spirito tuttavia è lo stesso.
So bene che la mia assenza sarà insostenibile per tanti camerati, in particolare per il Sanciullo, il quale rimpiangerà nel cuore d’Agosto gli interminabili dibattiti sulla “linea da seguire”. Se è vero che l’afa intorpidisce gli animi è anche vero che pure lui sa benissimo una cosa: da Settembre si dovranno fare ben poche discussioni, e sarà il momento di agire.

Dove c’è una volontà c’è una strada.

Casa Pound Costiera Amalfitana e la sacrosanta causa del Mutuo Sociale, il Blocco Studentesco e la sua presenza massiccia tra gli studenti della Costa, il CUIB con iniziative e impegno civico attraverso l’associazionismo locale, e ovviamente la crescita e il radicamento de La Destra sul territorio.

Ecco i nostri obiettivi, ecco le battaglie che vinceremo

Un unico Movimento, una sola volontà, un quadrato fermo nell’attuazione di quello in cui crediamo. Teniamoci pronti davvero, perché stavolta ci giochiamo tutto. I corni squillano e ci chiamano a raccolta: è arrivato il nostro tempo, conquistiamolo!



AI GIOVANI DI DESTRA

È nostro stile fare delle scelte e guardare solo avanti, mai indietro.

In 84 dei 91 ex tesserati del Coordinamento Azione Giovani Costa d’Amalfi, abbiamo scelto identità e coerenza quale premessa da custodire prima di ogni calcolo elettorale, aderendo in blocco a La Destra. Ma non è un caso unico. Sono tanti i giovani, in tante altre realtà del territorio, che si sono alzati e si alzeranno a seguire un percorso nuovo: per chi crede nell’esempio, per chi vuole rappresentare qualcosa prima di ambire a dei risultati, per chi non accetta rese e compromessi.

È Solo l’inizio di una sfida: dimostrare che una concreta azione politica è possibile anche senza vendersi e rinnegare, senza chiedere scusa per la propria storia.
Opposta alla mediocrità, viva e pulita, la fiera testimonianza di una fiamma che non si è spenta.
Non la spegneranno.

Su questo cammino, a Salerno e in provincia, abbiamo incontrato degli amici. Gente sveglia e che non molla. Una solida base organizzativa dalla quale ripartire. Uniamoci ora, e costruiamo futuro. Non rassegniamoci tutti al ruolo di fantasmi che vogliono imporci, diamo una lezione ai “furbi” Noi siamo sempre domani.

Il polpettone insipido in cui vi hanno proiettato non vi chiede la militanza, ma solo di obbedire nella speranza di ottenere qualcosa in cambio .Non siete più liberi, non più protagonisti, ma una pedina come tante. Vi offrono una palude putrida fatta di “vallette” e ipocrisia: non accettate di ammalarvi e isterilirvi, sostenete con noi ,ancora una volta, la bonifica integrale…Affrontiamo le sfide, come sempre fatto, e se il destino ci è contro peggio per lui!

Associazionismo, aggregazione, battaglie a sfondo sociale tra la gente e per la gente, presenza e radicamento nelle amministrazioni e le realtà locali. Operativi, e da subito, lavoriamo per affermare un’unica volontà: la vera destra, quella dei fatti e del popolo, quella dei nostri valori e dei nostri caduti, quella in cui non hanno spazio le orde grottesche di fantocci, affaristi e pupe patinate.

Ad Majora!



RobertoManna Matteo Cobalto
Portavoce Provinciale Gioventù Italiana Coordinatore La Destra Costa d’Amalfi

Geniale. Questa la musica alternativa che preferisco: ma occorre capire bene cos’è precisamente Sotto Fascia Semplice.
Non è un gruppo vero e proprio, anche se a volte ha suonato e suona dal vivo. Tutto dipende da uno schizzato figlio di puttana che si fa chiamare Katanga, già storico membro dei disciolti Intolleranza. SFS è piuttosto un progetto di avanguardia sonora, un’estetica del linguaggio non fine a sé stessa ma impegnata in un’ottica militante. Un rock veramente unico.
SFS è solo basso elettronico con batteria, qualche strimpello di collaboratori occasionali, mai gli stessi in ogni disco, insomma un “gruppo fantasma”. Un suono potente, denso, dallo straordinario potere evocativo. Qualche traccia di punk e di psichedelico, i testi contorti e ipnotici, fanno dei SFS il trionfo delle atmosfere più interiori e suggestive, ma piace anche a chi predilige lo stile casinista zetazeroalfa quando vengono fuori i tratti più travolgenti, “da battaglia”.
L’ultimo e meglio riuscito lavoro, filospinato, li ha visti in alcuni pezzi aprirsi definitivamente a qualsiasi tipo di pubblico con dei mostri come “Repubblica” e “W l’Itaglia”, a cui dovrebbero postrarsi i banalissimi contestatori da rap come Fibra o i vari famosissimi denunciatori sociali.
Il messaggio, non del resto nuovo, è semplice. Abbiamo bisogno di superare il filo spinato, i limiti tra noi e quello a cui vogliamo arrivare. Quel filo spinato non esiste se non dentro noi stessi. Osiamo e tagliamolo, vinciamo uccidendo ogni paura. Leggendo alcune interviste a Katanga, salta fuori che ciò che conta è capire quali siano le armi del domani: “ Dobbiamo aspettarci una reazione, ma le reazioni di massa non sono mai un granché. Spesso sono stupide e insensate. Per quanto ci riguarda se vogliamo davvero essere eredi di movimenti politici-estetici-artistici geniali come quelli che ha visto l’Italia all’inizio del secolo scorso, non possiamo perderci in imbarazzanti “lotte” contro froci e travestiti, o lasciarci cadere in semplicistiche e ancor più imbarazzanti derive razziste o anti-islamiche. Bisogna volare alto.” Un segnale realmente rivoluzionario e dinamico per assaltare i mezzi di comunicazione e renderli mezzi di coercizione e cambiamento, anche tramite la musica, in direzione del futuro, e vaffanculo agli stereotipi “La nostra forza non e nella durezza e nella spietatezza. La nostra forza e il contrario di tutto questo: e la coscienza di avere un cuore, una sensibilità, una passione. Un ideale, come si diceva in passato. Guardiamo le foto dei nostri "eroi" degli anni settanta, dei camerati uccisi. Non sono mica degli Shwarzenegger anabolizzati con facce truci e mascelle d’acciaio. Sono giovani ragazzi, spesso magrolini, a volte con gli occhiali. Eccoli, sono nelle foto in bianco e nero, e quelle delle manifestazioni degli anni 50, 60, 70. Sono questi giovani ragazzi i nostri esempi, perché il coraggio e fatto di emozioni, non di durezza e di forza bruta. Io voglio concentrarmi su quelle emozioni. Sulle emozioni che sono alla base delle scelte coraggiose”. Chiaro l’invito all’unità d’area, alla meschinità di un fronte interno dove è più comodo e facile combattersi tra “camerati” conoscendo il nemico, laddove manca il coraggio e la reattività di combattere realmente quello esterno, di cui si conoscono ben pochi modi per abbatterlo. L’affondo a tutti gli affaristi è scontato, più evidente la diffida ai nostalgici, agli “squadristi con piselli di gomma”. Esiste secondo Katanga persino la possibilità di un dialogo, non con il PDL, ma udite udite…col nostro nemico storico! “Perché il dialogo tra di noi rischia di diventare masturbazione pura e semplice… Ma per dialogare occorre imporre una lingua comune che non sia ne la nostra ne la loro. Bisogna mettersi d'accordo sulle regole. Ci dev'essere uno spazio, un foro, un punto d'incontro. Se continuiamo (inutilmente) a cercare di utilizzare la loro lingua, o a tentare (inutilmente) di imporre la nostra, non arriveremo da nessuna parte”. Bisogna dunque distinguere i nemici di oggi più pericolosi, e si fottano i puristi, i settaristi, i gesuiti per vocazione. “Bisogna continuare cosi con pazienza e perseveranza, senza rinunciare a nulla della nostra identità, senza compromessi, ma anche senza pretendere troppo da subito”.

Insomma che dire? Grande Sotto Fascia Semplice!

La strage di Bologna? Chiedere ad USA e Israele

- ROMA, 27 GIU - La strage di Bologna non e' opera ne' dei fascisti, ne' dei comunisti, secondo Ilich Ramirez Sancchez, piu' noto come Carlos. La responsabilita' che Carlos ipotizza e' quella dei servizi americani e israeliani, magari con una sorta di trappola e di depistaggio. Lo 'Sciacallo' ha risposto, nel carcere parigino di Poissy, ad una domanda dell'ANSA sulla strage di Bologna, portatagli dal suo avvocato difensore, Sandro Clementi.

Ora, posto che è agli atti del processo che

- i servizi segreti italiani hanno tentato di depistare le indagini;
- la P2 e Licio Gelli hanno indirizzato le indagini sulla pista fascista;
- non è mai stata battuta adeguatamente nè la pista libica nè quella palestinese.
- che la sentenza di condanna per Luigi Ciavardini, ritenuto l'esecutore materiale della strage, fa buchi da tutte le parti e si basa fondamentalmente sulla falsa testimonianza del delinquente Massimo Sparti e su una telefonata che sarebbe avvenuta tra Ciavardini e la fidanzata ma della quale non si sa il contenuto nè se sia davvero avvenuta;

bisogna interrogarsi sui motivi che hanno portato al depistaggio.

Chi insiste sulla pista palestinese parte dall'accordo segreto che ci fu tra il governo italiano e i terroristi palestinesi, affinchè fosse concesso a questi ultimi di trasportare armi nel nostro territorio se non avessero fatto degli attentati. Siccome, poco prima della strage, furono fermati diversi aderenti all'OLP, si conclude che - con la bomba alla stazione di Bologna - i terroristi abbiano ritenuto saltato il patto.

Ora, chiedo io, e se a metterci lo zampino sono stati proprio Cia e Mossad per far saltare il citato accordo? In questo modo troverebbero una spiegazione anche i tentativi di depistaggio. La domanda sicuramente merita la revisione del processo.

sabato 28 giugno 2008

MORTE AI PEDOFILI


PEDOFILIA A RIGNANO, IL PM MARCO MANSI ORIGINARIO DI RAVELLO


Grazie al dinamismo e al coraggio di un magistrato di Ravello, Costiera Amalfitana, Marco Mansi, ora in vacanza nella Città della Musica, sta andando avanti una importante inchiesta sulla pedofilia. Nuove testimonianze nella vicenda dei presunti abusi sessuali ai danni di minori relativamente alla scuola materna Olga Rovere di Rignano Flaminio. Altri quattro ex alunni (tre femmine ed un maschietto) della scuola sono stati giudicati idonei a testimoniare nell´ambito dell´incidente probatorio disposto dalla magistratura di Tivoli. Erano cinque i bambini sottoposti ad indagine psicologica, ma uno di loro non è stato ritenuto in grado di rendere testimonianza, perché il piccolo è estremamente chiuso ed introverso. I quattro fanno parte del gruppo dei 21 per i quali il gip Elvira Tamburelli, su richiesta del pm Marco Mansi, ha disposto l´audizione. Il 19 giugno prossimo si terrà un udienza a Tivoli per la discussione della perizia svolta sui bambini. Finora sono 17 i minori periziari. Degli ultimi quattro, due necessitano di una proroga prima del giudizio finale, mentre per altri due sono in corso gli esami. Ad affermare la capacità a rendere dichiarazioni sono state la neuropsichiatra infantile Angela Gigante e le psicologhe Marilena Mazzolini e Antonella Di Silverio, in una relazione di circa trecento pagine. In particolare le esperte hanno riscontrato sintomi di abuso e non hanno individuato alcun segnale che facesse pensare che fossero stati suggestionati. Nella vicenda giudiziaria sono indagate sette persone: le maestre Patrizia Del Meglio, Marisa Pucci, Silvana Magalotti e Assunta Pisani, l´autore tv Gianfranco Scancarello, la bidella Cristina Lunerti ed il benzinaio cingalese Da Silva.

ONORE A ITALO BALBO



Fatale Tobruk
Sessantotto anni fa veniva ucciso Italo Balbo

Il 28 giugno 1940 presso Tobruk per un “fatale errore”veniva abbattuto in volo il Maresciallo dell'aria Italo Balbo dalla nostra contraerea. Col tempo prenderà piede l'idea dell'assassinio che rientrerebbe in una lunga fila di tradimenti vergognosi e orrendamente sanguinosi perpetrati da massoni filo-inglesi presenti negli alti comandi. Gente immonda che ammorbò e tuttora ammorba la nostra Nazione e le sue istituzioni più della “munnezza” di Napoli.

Comandante Massoud



Ahmad Shah Massoud, detto il "Leone del Panjshir", è stato un eroe afghano che ha difeso il suo paese contro l'invasione sovietica e i talebani. Viene citato anche in un film di Rambo, ovviamente prima che la fallace propaganda yankee (assieme alle Fallaci italiche...) ci spiegasse che tutti gli arabi sono sporchi e cattivi.
Naturalmente chi è fermamente cattolico ed europeo non teme un mondo che cerca di salvaguardare la propria Tradizione contro il nemico rapace e insaziabile a stelle e strisce.

N.B. Nel primo video una canzone di Davide BUZZI, nel secondo di Skoll.

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Nato nel 1953 nell'estremo nord dell'Afghanistan, Ahmed Shah Massud costruì il proprio destino intrecciandolo continuamente con la storia recente della propria Nazione. Quando, nel 1978, prese ufficialmente il potere in Afghanistan, il minoritario partito comunista locale (PDPA) in seguito alla Rivoluzione di Aprile ideata ed sostenuta dall'Unione sovietica, il giovane Massud, che a quei tempi passava le proprie giornate pregando Allah e studiando architettura presso l'Università di Kabul, iniziò a farsi notare per lo spirito ribelle ed inquieto.

Colui che in futuro sarebbe stato soprannominato dai suoi uomini il “Leone del Panshir” a causa della terra d’origine e delle indiscusse capacità militari, già allora non appariva, infatti, attratto da una vita sedentaria ed incolore.

In seguito alla laicizzazione dello Stato imposta dal governo fantoccio di Kabul (pilotato direttamente da Mosca) ed all'offensiva contro la Tradizione, Massud decise di ritirarsi tra le montagne dell’Hindukush per dar vita alla resistenza antisovietica.
Fu così che Corano e moschetto, sangue e disperazione si mischiarono tragicamente insieme, in un'eroica e poetica guerra di liberazione nazionale.

Mentre Mosca decideva nel 1979 di impiegare direttamente l'armata rossa per imporre definitivamente il comunismo in Afghanistan - il governo filo sovietico di Kabul, infatti, pur ricorrendo alla politica del terrore, all'utilizzo massiccio dell'esercito e, soprattutto, ai terribili servizi segreti afgani (KHAD) preparati per anni dal KGB, non fu mai in grado di placare la ribellione popolare - i mujhaeddin (soldati della Fede) dettero prova della loro grandissima forza d'animo e coraggio combattendo strenuamente per la libertà.

L'Afghanistan dimostrò così al mondo di cosa fosse fatto il suo popolo, un popolo da sempre diviso al proprio interno ma in grado di riunirsi e di ricompattarsi di fronte al nemico straniero.
Nel 1992, dopo una lunghissima guerra nella quali i sovietici si macchiarono di spaventosi crimini sulla popolazione che costarono all'Afghanistan quasi un milione e mezzo di morti, l'Armata Rossa ed il regime comunista afgano vennero definitivamente sconfitti.
L'Afghanistan libero si ritrovò così “costretto” a confrontarsi con la pace pur non conoscendo, oramai, nient' altro che la guerra...e da libero l'Afghanistan conobbe ancora guerra.
I mujhaeddin si divisero in fazioni e lo scontro derivante da questa divisione si spostò, ben presto, dal piano politico a quello militare.

Kabul si trasformò in un campo di battaglia sopra il quale i miliziani fondamentalisti di Hekmaktiar e del generale Dostum (appoggiati dal Pakistan) si scontrarono violentemente con le truppe di Massud.

Nel 1994, l'Afghanistan era divenuto un Paese in cui l'anarchia e la sofferenza dominavano incontrastate; un Paese il cui futuro non appariva altro che un giorno nero senza speranza.

Nel dolore e nell'abbrutimento del popolo afgano si inserirono i Taliban.

Afgani di etnia Pashtun provenienti dai campi profughi pakistani, gli “studenti di sapienza islamica” piuttosto facilmente presero il potere in Afghanistan: il popolo, provato ed umiliato dalla guerra civile, non desiderava altro che pace e stabilità ed i Taliban, nella loro semplicità politica, promettevano abilmente una ricostruzione nazionale.
Dopo aver conquistato Kabul nel 1996 ed aver “schiacciato” nel nord del paese Ahmed Shah Massud, il movimento dei Taliban mostrò al mondo e, soprattutto all'Afghanistan, il suo vero volto…
Primi giorni di settembre dell'anno 2001.
Massud continua a combattere. Sono vent’anni che combatte: prima contro i sovietici, poi contro gli oppositori integralisti, infine contro i Taliban.
I tempi, però, cambiano e gli altri, i terroristi mascherati da soldati che la Storia non ricorderà mai, non tardano a manifestarsi.
Due briganti fedeli a Bin Laden (allora, ancora ufficilamente, vicino alla CIA e ai Bushes) e travestiti per l'infame occasione da giornalisti televisivi, decidano di farsi saltare in aria ponendo fine alla vita di un Leone, di un Leone di nome Massud.

venerdì 27 giugno 2008

La leggenda dell'11 settembre.

Gli «israeliani danzanti» furono pagati dal governo USA

I famosi "israeliani danzanti", ovvero i facchini di una ditta di traslochi, la Urban Moving Systems, visti festeggiare e riprendere le torri in fiamme esultanti. Le notize che trapelarono nei giorni successivi all'attentato su grandi giornali, riportano l'arresto dei 5 ragazzi e le indagini sulla ditta. Dopo 7 anni c'e' chi ancora tenta disperatamente di insabbiare l'accaduto.

Buona lettura.

The next level


Con una sentenza destinata a far discutere, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ribadito la validità del secondo emendamento della Costituzione americana e il diritto dei cittadini di possedere armi da fuoco, dichiarando incostituzionale la legge del distretto di Columbia che invece vieta ai propri residenti di avere pistole e fucili.

La municipalità di Washington proibisce dal 1976 il possesso di qualsiasi arma non registrata. Senza una licenza, non si può neanche trasportare un’arma da una camera all’altra della stessa casa e le pistole in regola non devono avere il proiettile in canna. Si tratta di un provvedimento severo introdotto per fermare la cronica violenza nelle strade della capitale; ma la decisione dei giudici della S.C. potrebbe avere ripercussioni anche a livello nazionale, sulle leggi che regolano il porto d’armi anche in altri Stati.

A dimostrazione del fatto che anche oltreoceano la magistratura è politicizzata, con questa sentenza abbiamo visto prevalere le pressioni della lobby amerikana che produce armi, peccato però che non sia un videogioco. A quando l'invasione di un altro stato "canaglia"?
Usa è sempre sporca di sangue questa tua bandiera...

giovedì 26 giugno 2008

SPIAGGE PER FAR SOLDI

Con determinazione n 20
del 21 gennaio 2008 si è chiuso
il cerchio della discutibile gestione
delle spiagge libere attrezzate
e dei miniclub. Ai gestori sono
stati liquidati i contributi per i
disabili. A leggere il documento
si resta sgomenti: su 11.862,00
euro totali, alla S.I.T. di Antonio
Anastasio e C. (consorte della
nota “assessora”) sono destinati
5.762 euro. Se si tiene conto
del fatto che la S.I.T. ha ottenuto
l’appalto quinquennale per
la gestione del miniclub alla cifra
irrisoria di 1.800 euro (sì,
avete letto bene, 1800,00 euro
per cinque anni, ossia 360,00
euro l’anno!), è palese che il nostro
comune gli ha restituito la
somma più altri 4.000 euro!
Ciò che ancora sorprende è come si possa accettare
che un miniclub, per definizione al servizio
di bambini, possa ospitare disabili adulti (in verità
in quel miniclub di bambini ne abbiamo sempre visti
pochi).
Ogni commento è superfluo.
Speriamo solo che l’estate ormai alle porte non
ci riproponga lo stesso deprimente copione. Noi vigileremo
più di prima, nonostante le scarse possibilità
che la legislazione vigente concede a noi giovani,
e chiedendo la collaborazione dei tanti
cittadini onesti che ancora si indignano dinanzi a
vessazioni e furberie.

mercoledì 25 giugno 2008

Ponza 2007 ogni tanto qualche stronzata fa bene

ONORE A CAPITAN FORNO


Due precisazioni al corriere del mezzogiorno

L'edizione odierna del Corriere del Mezzogiorno mi cita riportando da CampaniArrabbiata il mio breve commento sulla prossima apertura dell'inceneritore a Bagnoli. Ritengo, a tal proposito, doveroso specificare che non sono contrario ai termovalorizzatori e che, anzi, ritengo vitale renderli operativi nel più breve tempo possibile; tuttavia
mi sono permesso di avanzare delle perplessità in virtù di due semplici considerazioni:

1) non si capisce perchè le amministrazioni, ormai definitivamente compromesse, si ostinino a non far partire un piano per la raccolta differenziata pur di difendere gli interessi di quelle aziende che, fino ad oggi, sul volume complessivo dei rifiuti hanno lucrato causando danni all'ambiente non quantizzabili.

2) e' necessario garantire che non siano pregiudicati gli investimenti che hanno interessato Bagnoli negli ultimi anni. Non va, infatti, dimenticato che Napoli si era candidata per essere la sede della Coppa America proprio per avere quei finanziamenti necessari per portare a termine il progetto Bagnoli.

Troppa ZIZZANIA

martedì 24 giugno 2008

ONORE ALLE BRIGATE NERE

IL 24 GIUGNO DEL'44 NASCEVANO LIBERE BELLE E RIBELLI LE BRIGATE NERE L'UNICA RESISTENZA ITALIANA ASSIEME ALLA X MAS





La Romania offre lavoro indeterminato, ma i Romeni rifiutano

Di Ercolina Milanesi I romeni, in Italia, sono 342.500, ma non hanno nessuna intenzione di tornare nella loro patria dove avrebbero lavoro assicurato e a tempo indeterminato.
La Romania è in forte espansione economica, sta vivendo un periodo positivo ma manca la mano d’opera. E’ veramente un paradosso constatare che i romeni continuano ad arrivare nel nostro paese, senza lavoro, tranne alcuni, e vivono di espedienti, prostituzione e criminalità quando nella loro terra sono costretti a rivolgersi ad extracomunitari dato il lavoro immane che occorre per costruire nuove case, fabbriche, necessitano carpentieri, metalmeccanici.
A Bucarest vi è stata una richiesta di 22mila posti e si sono presentati in 20.
Dopo l’entrata nell’Ue la Romania sta vivendo un periodo di forte boom economico, sono partite le grandi opere ma realizzate da stranieri. Un’azienda tessile ha assunto 1.500 cinesi, vi sono operai che provengono dalla Moldavia, Ucraina, Pakistan, India, Turchia e Sri-Lanka.
Sono richiesti medici, ingegneri, avvocati e architetti.
Ma allora perché i romeni continuano a venire in Europa e in Italia a fare i mendicanti e i poveri miserabili che fuggono da un paese in cui non possono più vivere?
Prescindendo dal fatto che gli immigrati romeni ed i loro cari rom sanno che in Italia possono vivere senza faticare, basta un furto in una villa, rapine a gogò, fare i papponi di una bella squadra di donnine facili che rendono assai, intanto in galera non ci vanno dato il buon cuore dei nostri magistrati, mentre in Romania esistono leggi severe e le condanne sono eseguite per l’intero. Ecco perché non vogliono tornare nel loro paese, dovrebbero lavorare e al primo sgarro il carcere li ospita.
Lapalissiano che gli immigrati che ci stanno invadendo a dismisura sono la maggioranza dei criminali che hanno una fedina penale talmente sporca da incutere il giusto timore degli italiani. Un romeno intervistato per quale motivo non vuole tornare a casa sua, ha risposto che in Romania sono ancora troppe le cose che non funzionano, a partire dalla carenza dei servizi e la mancanza di sicurezza. Inoltre ci sono ancora troppi pericoli e molti di noi non si sentirebbero al sicuro. C’è troppa delinquenza!
Ma guarda chi parla! Gli indici di comportamenti delinquenziali riscontrati in Italia da parte dei cittadini romeni battono il record su tutti gli altri immigrati.
A questo punto, secondo la mia opinione personale, il governo dovrebbe rispedire tutti i romeni a casa loro perché il lavoro esiste, dunque non hanno nessun bisogno di farsi mantenere da noi. Ma non se ne andranno mai, è questa la tragedia, dovremo continuare a vivere nel timore di furti, aggressioni, stupri e per colpa degli ubriachi anche la morte di giovani vite.
Già alcuni italiani lavorano in ditte trasferite in Romania, vorrà dire che ritorneremo ai primi novecento quando gli italiani emigrarono in America per necessità, per farsi una vita decente e, tranne i mafiosi, lavorando alacremente, molti sono arrivati al successo.
Ma è vergognoso che noi, italiani che viviamo nella nostra Patria, si debba emigrare in cerca di lavoro, quando abbiamo dei romeni che pretendono di vivere sulle nostre spalle, con relativa criminalità che hanno nel loro Dna, e con l’assegnazione di case popolari che a noi sono rifiutate, per leggi demenziali che danno la priorità agli immigrati.
Bucarest è una città molto bella, come la Romania, vorrà dire che quando vi sarà l’esubero di romeni ( due milioni di espatriati hanno lasciato la Romania e vagano per l’Europa) i disoccupati italiani sapranno dove trovare lavoro.
L’umiliazione e la vergogna non fanno più parte delle coscienza umane!
ERCOLINA MILANESI

Achille Della ragione, un abortista per ogni stagione.

Non so dire se in Achille della Ragione l'eclettismo sia un'aspirazione o una constatazione di fatto; se cioè in lui prevalga l'essere o l'apparire. Non lo conosco e non lo voglio conoscere: mi fa schifo a pelle. So solo di aver letto, per caso, la sua biografia di Achille Lauro - che, di certo, non mi ha sconvolto la vita - e che è attivo, pur etichettandosi di sinistra, nel movimento neoborbonico che proprio progressista non è. Tanto è vero che scrive su "IL BRIGANTE", il periodico ufficiale dei nostalgici dei Borbone. Per avere altre notizie è sufficiente una breve ricerca in rete. Si può, infatti, apprendere che è "maestro di scacchi", collaboratore di diversi periodici e che ha pubblicato "Il secolo d'oro della pittura napoletana", opera in 10 volumi sul seicento, ed alcune monografie su collezioni private.

Non è quello che, tuttavia, interessa porre in rilievo in questa sede. Achille Della Ragione è soprattutto un ginecolo abortista. Ha indirizzato tutti i suoi studi sul controllo delle nascite e sulla sessuologia femminile ed è autore di diversi lavori scientifici tra cui: "Moderne metodiche per procurare l'aborto" (1978), "Parliamone col ginecologo" (1982), "Pianeta donna" (1985), "La frigidità e la verginità nella donna"(1992).

Evidentemente in continuità con le sue ricerche scientifiche, ha deciso di dare attuazione ai suoi studi sulle moderne metodiche per procurare l'aborto praticandolo, naturalmente a scopo di lucro, clandestinamente in violazione alla legge 194 del 1978. Da stamattina è in stato di fermo, assieme ad altri tre galantuomini, per aver indirizzato le ragazze che dovevano abortire nello studio privato di Luigi Langella in corso Vittorio Emanuele, accusato tra l'altro di violenza sessuale per aver approfittato dello stato di bisogno di una straniera.

Il signor Della Ragione già in passato era stato beccato per fatti analoghi, eppure ha potuto continuare ad esercitare tranquillamente la professione medica. Si spera che stavolta l'ordine del Medici di Napoli adotti l'unico provvedimento necessario: la radiazione dall'albo.

Quanto al movimento meridionalista auspico solo che, d'ora in avanti, sappia meglio scegliere i propri simpatizzanti perchè di un militante RADICALE autoproclamatosi intellettuale (sic!) bisogna quantomeno diffidare.

COME LUPI NOI SAREMO

lunedì 23 giugno 2008

Io sono antiamericano

Io sono antiamericano perchè ci tengono ad essere belli e puliti... perchè sanno di essere tanto sporchi.

Io sono antiamericano
perchè distruggono ogni civiltà, o con le armi, o con la globalizzazione

Io sono antiamericano perchè una volta qualcuno aveva una educazione. Un'educazione, capite?

Io sono antiamericano perchè starbucks, mcdonald's, blockbusters, burger king, nike, addidas, muffins, play station, video games...oh yeah

Io sonno antiamericano perchè prima in autobus si cedeva il posto ad un anziano o ad una signora e lo chiamano "male assoluto".

Io sono antiamericano perchè prima la ragazze si facevano rispettare.

Io sono antiamericano perchè la sua economia sta fallendo e, per rallentare l'implosione, distribuisce bombe a chi considera una canaglia.

Io sono antiamericano perchè l'america sta fallendo e noi, colonia, ci andiamo ancora dietro.

Io sono antiamericano perchè l'america sta fallendo.

Io sono antiamericano perchè non ha il diritto di dividere i buoni dai cattivi
...soprattutto perchè lei non è tra i buoni.

Io sono antiamericano perchè l'Iraq e l'Afghanistan non sono stati mica "liberati",

Io sono antiamericani perchè io ricordo cosa intende per "liberare un paese".

Io sono antiamericano perchè sono napoletano e la mia città è stata bombardata dai "liberatori"

IO sono antiamericano perchè li immagino passare distribuendo sigarette e chewing gum
....salvo poi stuprare le nostre donne e trasformare il palazzo reale in una stalla.

Io sono antiamericano perchè in Iraq hanno replicato trasformando i siti archeologici in basi militari

Io sono antiamericano perchè c'è ancora chi commemora a Nettuno i caduti di uno stato invasore
.....e anche perchè ci furono italiani che agli invasori decisero di resistere

Io sono antiamericano perchè
SIAMO TUTTI RSI, SIAMO TUTTI RSI, SIAMO TUTTI RSI!

Io sono antiamericano perchè "bisogna combattere il fondamentalismo "...ma l'Iraq di Saddam era il paese islamico più laico

Io sono antiamericano perchè da piazzale Loreto all'impiccaggione di Saddam non si sono mica tanto evoluti.

Io sono antiamericano perchè gli ebrei hanno voluto distruggere l'Afghanistan, l'Iraq e ora puntano tutto sull'Iran.

Io sono antiamericano perchè non si accontentano mai.

Io sono antiamericano perchè amo conoscere ogni popolo scoprendone l'identità culturale

Io sono antiamericano perchè l'america non ha nessuna identità culturale

Io sono antiamericano perchè diceva LUI che sono solo una popolazione, non un popolo

Io sono antiamericano perchè non dico mai bugie e le armi di distruzione di massa in Iraq sono arrivate dopo...con la "democrazia"

Io sono antiamericano perchè sono fermamente cattolico ed europeo e non ho affatto paura degli amici islamici.

Io sono antiamericano perchè da Alessandro Magno, Carlo Magno, Federico II a Obama/MCCAIN non è stato uno scambio alla pari.

Io sono antiamericano perchè il mio paese è nel mediterraneo

Io sono antiamericano perchè Bin Laden è solo un ex socio in affari dei Bushes

Io sono antiamericano perchè non credo alla leggenda di Osama Bin MOSSAD
...e perchè AL Qaida è solo un'operazione di marketing

Io sono antiamericano perchè sono visceralmente anticomunista
e non si può scegliere tra due mali.

Io sono antiamericano perchè io sono e preferisco essere.
Essere, non esserci
E QUESTA è LA MIA TERRA ANCORA
QUESTA è LA MIA TERRA ANCORA
HO UNA TERRA ANCORA
E TANGO, STASERA SONO STANCO,
MA NON MI VESTIRò MAI DI BIANCO...
oh yeah

domenica 22 giugno 2008

GIORNATA DELL'ORGOGLIO PEDOFILO

Si avete letto bene, il 23 giugno si terrà la giornata Mondiale dell'orgoglio Pedofilo,(boyloveday international) questo è il sito della manifestazione : http://www.ibld.net , non è un sito illegale, non contiene pornografia, anzi questi signori si impegnano a convincere i loro lettori di agire nel bene, di volersi differenziare dai criminali, da chi fa atti violenti, da chi costringe i bambini, i ragazzi, dicendo che loro li amano.

Interessante la galleria di immagini, dove anche babbo natale viene mostrato come pedofilo e interessante questa immagine http://www.ibld.net/ibld99dcc.jpg dove addirittura viene mostrato un prete amorevole con un ragazzo, si evince un desiderio di far apparire assolutamente normale o come perversione sessuale, che ne so come partecipare ad un'orgia, un rapporto amoroso da tra un ragazzino e un adulto.

Non è una novità, sono 8 anni che questa giornata esiste, che questo sito è on line, nell'indifferenza di tutto gli organismi internazionali, qualcuno ha addirittura richiesto l'intervento dell' ONU, ma invano.

sabato 21 giugno 2008

UN MOTIVO IN PIù PER TIFARE ITALIA

«Per me le nozze sono tra un uomo e una donna - ha detto Rino Gattuso -, quelle tra omosessuali mi scandalizzano perché sono uno che crede nella famiglia da quando sono bambino e per chi crede nella religione una cosa del genere è molto strana». Rino, nome in codice "Ringhio", autore dell’autobiografia chiamata significativamente «Se uno nasce quadrato non muore tondo», incassa il consenso di Rosy Bindi («La penso come lui ma una cosa è il matrimonio, un altro il diritto delle persone e delle coppie di fatto») tuttavia «non immaginava che il suo giudizio innescasse la prima secessione tifosa per il match di domani sera. «Le coppie gay saranno costrette a tifare Spagna? - gli ha replicato attraverso l’Ansa il presidente onorario dell’Arcigay, Franco Grillini -. Dobbiamo chiedere a Gattuso se gli italiani che hanno a cuore i diritti civili e le riforme di Zapatero debbano sostenere gli spagnoli e non la propria Nazionale»

Paolo SIGNORELLI, il maestro nero sotto l'albero di marta

Gerardo Picardo

A sentirlo parlare, viene voglia di mandare tutti al paese di Pulcinella e ritirarsi in campagna come Antifonte, ad allevare cavalli. Condannati a cercare di rimanere uomini nella mischia della mediocrità - anzi per dirlo con l’eloquente titolo della collana che recita: ‘Contemporanei all’imbecillità - per tutti Paolo Signorelli è un confronto sicuro. Lui, professore di filosofia, eretico pertinace, è un ‘fascista’ per scelta. Ciò che resta dell’anarca jungeriano perso tra le scogliere inquiete del nichilismo e la voglia di futuro che ci abita nel petto. Contadino eppure penna finisssima, capace di ascoltare le curve e rispetto al teatrino del Palazzo di immaginare ancora una politica che parta dalla cultura, disegnando quel ‘Laboratorio’ di idee e di liberazione sul quale scommette dal 1997, quando fondò ‘Giustizia Giusta’ per denunciare i mali del sistema giudiziario. Ha una storia che è un romanzo, il ‘camerata’ Signorelli. A raccontarla è un’intervista nera e bellissima di Giuliano Compagno nel libro: Paolo Signorelli, edito da Coniglio Editore (pp. 112, euro 12). Una intrigante passeggiata a passo fermo negli anni che vanno dal dopoguerra ai nostri giorni di decadenza. Ha ragione da vendere Giuliano Compagno quando, incalzando con una domanda stretta il suo interlocutore, nel frattempo perso nell’immancabile sigaro stretto tra le labbra, annota che conosciamo Signorelli “come uomo che ama parlare al futuro”, pur senza lanciare un ingiusto colpo di spugna sul suo arresto nell’agosto del 1980 e sulla sua “indecente reclusione di sette anni e passa” nelle patrie galere cui si sommano altri mille giorni passati ai domiciliari in qualità di detenuto in attesa di giudizio. Di quelle storture giudiziarie lo stesso Signorelli ha lasciato un documento di pesante accusa in un libro pubblicato nel 1996 dalle edizioni Sonda: Di professione imputato. Anche in queste pagine, urticanti per quanto sono vere e grondano vissuti, il pizzetto bianco di Paolo Signorelli guarda avanti: “Viviamo il Kali Yuga”, avverte nella risposta a Compagno, una stagione che nell’immaginario indù sta a indicare l’età di kali, l’ultimo momento ciclico prima di un nuovo Satya. E’ il declino appena prima della fine: caduta di ideali, estetica, assenza di stile. “Mancano i sogni – mastica amaro Signorelli – Eppure noi, io, tu, nei momenti più disperati dell’esistenza si guarda al sogno come a qualcosa di vivo che è lì davanti a te, lo puoi andare a cogliere con le tue mani”. Lui e pochi altri pensatori rimasti (se ne contano ormai sulle dite di una mano monca), si rivolgono “ai non dormienti, tanto per usare un’espressione guenoniana” ricordando che la verità non è quella che appare.
E allora si infilano queste righe e non hai la forza di lasciarle, come ha scritto anche paginata Giampiero Mughini in una paginata su ‘Libero’del 17 giugno scorso. Anzi, hai come l’impressione di ritrovarti davanti a quell’irriducibile antagonista, un po’ dandy nella camicia sbottonata anche in inverno, che ti guarda con gli occhi azzurri e piccoli che ti pesano. I suoi pensieri che corrono sempre più avanti degli altri. E’ una sorta di esame benevolo in cui quel capro espiatorio che serviva dipingere come ‘catttivo maestro’ per chiudere il cerchio dell’eversione nera, ti chiede anche senza parlare se hai letto ‘I Proscritti’ di von Salomon o hai capito le mosse di ‘Cavalcare la tigre’, pur non avendo particolarmente amato il ‘Barone’. Quindi manda giù un bicchiere – difficile stargli dietro anche in questo – e ti ritrovi catapultato in quella canagliesca topologia che accomuna tutti i ribelli come lui che da neopagani si rifanno a una celtica su cui non si può sputare. Senza farti seghe mentali vedi un paesaggio popolato da inquieti cercatori di segreti runici, ma declinati nell’oggi, come un memoriale di cui non puoi fare a meno perché è una seconda pelle. E’ una dannata genia di gente in rivolta con il proprio tempo, meravigliosamente solitari, inguaribilmente puttanieri.
Leggi le pagine inattuali di Signorelli e ti rendi presente al tavolo sul quale il dialogo con Giuliano Compagno ha schiuso un po di porte arrugginite sui cardini di comode versioni, ha rimestato ombre e sfatato quelli che sembrano – o sono stati fatti passare – come ‘misteri neri’. Intendiamoci: l’espiante Signorelli non è uno stinco di santo e credo non gliene freghi niente di dimostrare il contrario. Ma è un uomo per il quale la vita è libertà. E’ stato protaginista – rimarca Compagno – del “più clamoroso caso di detenzione politica dell’Italia repubblicana. Non credo che esistano uomini del passato bensì che esistano e sono sempre di meno, uomini con un passato”. Perciò queste riflessioni sono dedicate ai vivi, perché riassaporino la curiosità del mondo, ma anche “ai morti: nessuno dica loro – avverte l’interlocutore di Signorelli – che su quei vessilli di un tempo, che sono costati una vita e infinito dolore, ora ci stanno seduti i Gasparri e i Bertinotti. Credono sia tappezzeria”.
E il racconto si snoda. Prende partenza dal 25 aprile 1945, dagli occhi ciechi del padre di Signorelli, ferito nel 1916 durante una delle battaglie dell’Isonzo e arriva sino al nostro nulla politico. Signorelli ha iniziato a fare attivismo a 11 anni, quando insieme ad altri ragazzini, spiega, “inventammo l’intifada”. E’ la cronaca di anni difficili nella quale fa sempre da sfondo una terra – il suo viterbese – che è madre in ogni occasione, perché “dove c’è la terra non si muore di fame” e neanche lo spirito conosce tramonto tra quelle radici. All’arresto del Duce, quando già si stanno arrotando gli scalpelli per tirar giù dai palazzi le aquile littorie e i mezzi gerarchetti si rifanno il guardaroba, lui – appena un ragazzo – per sfida indossa la divisa da balilla e scende in paese, a Supino, la sua inespugnabile tana. Aveva dieci anni e rabbia da pugni in tasca, che conservò per tutta quella “zona grigia che durerà almeno fino all’8 settembre”. La lancerà oltre una linea Gustav che “non fu sfondata” – mette in chiaro in un passaggio del testo insieme a una miniera di aneddoti e cronaca che passa per la propria pelle – e non la reprimerà quando arrivarono i ‘liberatori’. Anzi: “Ho ancora in testa le urla delle donne ciociare, costrette a fuggire alle bestialità delle truppe marocchine che si resero protagoniste di centinaia di stupri”. Perché la lotta di liberazine fu anche questo. E loro, come si sentivano i ragazzi di un tempo cui i maestri che avevano insegnato la ‘dottrina fascista’ (perché “un’ideologia elaborata dai fatti diventa una dottrina, mentre ideologia fascista è un non senso inaccettabile”, puntualizza il professore) per poi essere i primi a dire che Mussolini era un puzzone? “Non si trattava, certo di ‘neofascismo’. Noi ci sentivamo fascisti e antimericani. E basta”. Erano i ragazzi neri del via Pal, volevano vederci chiaro anche in mezzo a gente più grande, quando capisci che il coraggio è una strada che ti porta lontano dalle scelte di altri perché “madre Paura ha tanti figli”.
Vengono quindi le botte prese e date negli anni degli studi, il passaggio alla militanza attiva, quel Movimento Sociale “dove si volevano intruppare gli incazzati nel castrante gioco della democrazia”, tra un Michelini che “era un bottegaio della situazione. Si diceva che avesse venduto calendari della resistenza” e un ’68 sprecato a Destra da un partito chiamato a “fare il pompiere” su mandato della Dc, anche se “le occupazioni del ’68 in molti atenei vennero gestiti dal FUAN”. Nascono da quelle storie, più che da quegli umori, e sono vicende di politica e di carne tenuta controvento, le controverse stagioni di Ordine Nuovo, di cui Signorelli è espressione e che a suo giudizio arriva sino a una grande mente, quella di Adriano Romuladi, “un ordinovista. Una limoidezza solare nella sua paganità indoeuropea di cui rimane ampia traccia nelle opere da lui scritte”. Insieme, firmarono diversi pezzi su ‘Civiltà’.
Mette in chiaro Signorelli: “Eravamo fascisti per rabbia. L’essere fascisti per noi significa essere ribelli, essere eretici, avere in poche parole sulle palle i capi, tranne quelli naturali. E il capo naturale tu lo fiuti nel momento in cui lo trovi accanto a te, nella lotta”. Arrivano anche le contestazioni per Trieste italiana, tra il ’50 3 il ’54, con “le risse con gli slavi e la guadiosa occupazione dei casini dove le nostre brigate venivano accolte alla grande”. Ma sono anche gli anni di ‘Imperium’ e dei ‘figli del sole’, culture ed esistenze così diverse tanto dalla Destra radicale che “da quella specie di circoncisione ideologica che porta il nome di Allenza nazionale”. Per chi li ha vissuti era il tempo della ‘battaglia dell’Ambaradam’, di Valle Giulia che per Signorelli è solo “una belle leggenda metropolitana”, e ancora i tempi della riunione di Albano e di di via Quattro Novembre, dove c’era un palazzo di proprietà del Pci dove si stampavano ‘l’Unità’ e ‘Paese Sera’, e “ogni volta che i nostri cortei passavno da lì lo scontro era inevitabile. In occasione di una manifestazione nel ’56 per Budapest, vi fu uno scontro durissimo con i tipografi che vennero fuori con le barre di piombo che stavano in fusione. Ci si menava con tutto. E la polizia non interveniva mai”.
I nemici di quei giovani che volevano abbracciare il socialismo rivoluzionario “erano i direzionali del Msi, non i sociali”. Di figure e storie, maggiori e meno note, della destra italiana dal dopoguerra a oggi sono infarcite le testimonianze di Paolo. Si ricorda ed esempio quel Giulio Caradonna che oggi agita la vecchia gruccia arrivando a bloccare il processo di beatificazione di La Pira, che negli anni verdi si dimostrò un guascone “capace di combinare cose incredibili, come all’Ambaradam, quando si mise in mezzo alla piazza dove stava succedendo di tutto (lui era invalido, ndr) con l’ombrello in mano e il cappotto a dare ordini ai celerini finché le guardie se ne accorsero e lo triturarono”.
Sono ricordi di un vecchio rompiglioni? Macché. Non fa male sentire Signorelli che puntualizza di un suo arresto per l’aggressione ai partigiani che erano stati autori dell’infame strage di Oderzo: “Lì erano stati presi dei cadetti della Repubblica Sociale, ragazzi tra i 12 e i 15 anni, e nel cortile interno della loro scuola ci erano passati sopra con un camion. Questo nel 1945, dopo il 25 aprile. Vennro tutti assolti. Ma noi non li assolvemmo. Li aspettammo fuori del Palazzaccio e li pestammo. Eravamo in tre. La guardia di Palazzo Dongo e la polizia non fecero in tempo a intervenire e noi ce ne andammo con passo normale”. Goliardate da giovani, invece, è la scommessa – peraltro vinta dallo stesso Signorelli e da Marco Nicoletti – si riuscire a “tastare le ieratiche chiappe di Papa Pacelli mentre veniva portato sulla sedia gestatoria”, meglio noto nel mondo giovanile come ‘Gegè’, “lo sollevammo da sotto e lo alzammo al grido di ‘Viva il Papa!’”.
Paolo si laurea nel ’63 con una tesi sul sindacalismo riviluzionario, a Scienze politiche, nel frattempo “ero andato in Germania a fare il trattore, il pizzettaro, l’imprenditore della pommarola insomma… “. Vive due anni tra la Mosella e il Reno con Claudia che poi sarebbe diventata sua moglie nel 1959 facendo il viaggio di nozze a Ortisei “e forse lì bevemmo un po’ troppo tutti e due. Da lì proseguimmo pe rla Germania”. Già, Claudia. La donna del ‘nero’. Un carattere forte, ha tenuto le redini di una famiglia sempre unita nonostante le bufere, ha guadagnato il pane con il suo lavoro di insegannte e ha fatto la spola da un carcere all’altro quando il marito recluso non si sa pr cosa, veniva tenuto in gabbia. La casa dei Signorelli ancora oggi ha una chiave sulla toppa per gli amici di sempre e di tutto. Anche se molti, nel percorso bello e irragionevole dei giorni, se li è portati via la morte. Come è accaduto per Luciano Cirri, “uno che incontravi a sera con un sorriso tra l’ironico e il caustico, appoggiato al bancone del bar col suo whisky in mano. Quel bancone rappresentava il suo punto di equilibrio. Di un’umanità straordinaria e di una lucidità paurosa anche quando era sbronzo”.
Di quell’umanità con il sangue in rivolta facevano parte anche Gianni Nardi, “avventuriero dell’ideale” e Giovannino Guareschi che, reo di aver sostenuto che De Gasperi fosse implicato nei bombardamenti di Roma, “riempì il suo tascapane e si si fece un anno. Uscito di galera non pretese nulla”. E c’era anche un tal Orsi, “un ferrarese giocoso e puttaniere che salutava dicendo: Heil Mao!”. Cose diverse, per Signorelli, dalla “cialtronaggine” di Lotta Continua. Su un altro punto occorrerà riflettere dopo che il lettore avrà dosato queste righe scritte con l’inchiostro di una vita: lo scioglimento ‘strano’ di Ordine Nuovo. Signorelli non ha dubbi: quello che accadde il 23 novembre 1973 “fu un’operazione a regia compiuta da Taviani in nome e per conto di Gladio”. Si trattò di un’operazione politica e regia, mentre “con Ordine Nero Mario Tuti non aveva nulla a che fare”. Ci sono bombe che esplodono a Piazza Fontana e poi a Bologna. Ordigni che fanno male che restano come una ferita non chiusa nella carne del nostro Paese. Signorelli parla anche di questo e bisogna essere di legno per non annuire più di una volta quando racconta la sua versione.
Anni di pazzie e di lotta, di speranze e delusioni, anche se per Paolo Signorelli il tempo dei bilanci – operazione ragionieristica che non gli appartiene – è molto lontano. Questo libro non vuole esaltare nulla, non lo fa neanche Signorelli, che se ne frega. Ma capire, togliere le bende a vulgate incancrenite, questo sì. Contrapponendo il senso di alcune lotte alla ricerca disperata di quello che è l’approdo di mille tradimenti: “qualche angiporto parlamentare…”. Ecco perché ritrovarsi una sera in campagna a bere del buon vino con Paolo Signorelli o vederlo liturgicamente bruciare foglie di alloro per scacciare la mediocrità con il rito della canicula, vale più di mille lezioni in accademie di parrucconi e mezze calzette.
Se c’è una cosa che Paolo Signorelli davvero insegna è la bellezza della differenza, quel korismòs che è appartenenza e scelta di vita. Una coerenza che viene riconosciuta anche da chi stava ed è dall’altra parte della barricata. Questa unione ai amici e di spiriti liberi – scandisce Signorelli – “aveva e ha un simbolo: il Grande Albero del Giardino di Marta, una secolare pianta di alloro”. E anche se questa estate il vento lo ha troncato, il Signorelli demiurgo di Paganitas è indomito. Su quella terra, come in molti suoi pensieri, rimane il fascino di un incontro che vale la pena portare a sera: sta e cade l’umanità di uno “stare insieme vicino al fuoco”, il cantare e bere, la carne, il fare festa. Sono le dimensioni umane e vere, che nascono da un pensiero, un sorriso, una lacrima. La stessa fonte da cui sgorga la parola filosofica, che è penultima e ha tutto da domandare ancora. Signorelli ha avuto e ha molta gente che ne ha affiancato il cammino. Di camerati pochi, di maestri ancor meno. Il più delle volte ha dovuto trovarseli nei libri, nella storie incontrate nei dolorosi percorsi politici e di detenzione, forse nel Denken di qualche scomodo esempio per i benpensanti, come Ernst Jünger la cui strada non andava né a destra né a sinistra: andava avanti dritta. Ma ance da questi giganti e titani non si è fatto schiacchiare- E’ rimasto sempre libero, sapendo che doveva scegliere ad ogni crocicchio. Ricordo che dovevamo presentare un mio libro, ‘Destra Radicale’, che vanta peraltro una sua bellissima intervista. Gli telefonai per assicurarmi la sua presenza e nel rapporto di verità che ci lega, tagliò corto: “Se lo fai nella sede di An, non vengo. Non posso sporcarmi i piedi. Ho un’altra storia”. Attaccò e non venne. Qualche sera dopo, a quell’incontro, io parlai solo della sua intervista.
Mi sembrò allora e mi capita ancora oggi, pur non potendolo incontrare spesso, di appartenere ad alcuni di quei suoi pensieri di zolfo e silenzi. A un uomo così gli si vuol bene anche perché è uno dei pochissimi – a differenza di cialtroni che si godono rendite di posizione - che incontrandoti ti dice o ti scrive ancora: ‘In alto i cuori’; ti fa pensare che esiste qualcosa, un’idea, che va oltre la miseria del lavorare per vivere, peraltro facendosi strada tra raccomandati e mediocri che zavorrano. Pensando al messaggio della sua ascia bipenne, l’ideologo che ha smontato tutti i castelli d’accusa (gli avevano appioppato sul groppone ben tre ergastoli), passati i settanta anni continua a mettersi in discussione cercardo consonanze con terre e popoli. Per la sua causa si spesero Amnesty International e il Partito Radicale. Gli altri - tranne la moglie, i due figli Luca e Silvia e le battaglie del fratello Nando - sono rimasti colpevolmente in silenzio. Anche questo non ha dimenticato Signorelli. A chi è riconoscente?, gli chiede Giuliani Compagno. “A tutti coloro che sono rimasti coerenti”, replica il professore nero. Perché “sarà pure un mondo di merda ma di persone coerenti ce n’è ancora. Le fiuti, sai che non tradiscono, sai che ci saranno sempre”. Come darti torto, vecchia canaglia?
Gerardo Picardo

venerdì 20 giugno 2008

AVANTI BRUNETTA

Brunetta:on line permessi sindacali
« il: Oggi alle 15:38 » Citazione

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Nel 2006 spesi 125 milioni di euro

Dopo le crociate contro i fannulloni e le consulenze d'oro, il ministro per la Funzione pubblica Renato Brunetta, lancerà nei prossimi giorni un'offensiva contro i distacchi sindacali concessi ai dipendenti della Pubblica Amministrazione. L'intenzione del ministro è diffondere on line tutti i nomi dei rappresentanti sindacali della P.A. In Italia si contano più di 3mila "distaccati". Nel 2006 sono costati 125 milioni di euro alle casse dello Stato.

Per legge i sindacalisti distaccati, quelli che continuano a ricevere regolare stipendio e contributi dall'amministrazione pubblica di provenienza, sono equiparati ai lavoratori anche per quanto riguarda benefit e premi di produzione. Qualche numero tratto dalla relazione sullo stato della pubblica amministrazione e pubblicato sul Giornale: le ore di assenze per riunioni sindacali nel settore pubblico sono state 475.508 nel 2005, riunioni che sono costate nello anno 8.749.00 euro. Le ore di permesso sindacatle richieste in Italia sono addirittura 8.400.000 ogni mese.

E non si paga neanche il biglietto.

Primo episodio: un'ascensore del tribunale di Napoli. Un giovane avvocato scherza: "Eppure mi chiedo cosa mai venderà un negozio giuridico". Risponde uno dei presenti: "Sicuramente cervelli per avvocati, molti dei quali in saldo".

Gelo. Tutti vorrebbero ridere, ma nessuno osa. Poi le porte dell'ascensore si aprono e, uscendo, è unico il saluto: "Buona giornata, Presidente".
Il presidente del tribunale.
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Secondo episodio: inizia l'udienza.
Un teste è chiamato a fornire la sua versione dei fatti e, benchè nessuno gli abbia chiesto niente, esordisce così: "GIURO DI DIRE TUTTA LA VERITà, TUTT'ALTRO CHE LA VERITà". Andiamo bene...

Terzo episodio:
Il giudice chiede
- ma lei a che titolo parla?
- Sa, sono della CIA, risponde l'interrogato
- Della CIA?, interviene nuovamente il giudice esterrefatto
- Sì, della CIA. Confederazione italiana agricoltori.
A Bè...

QUANDO IL SANGUE PREVALE SULL'ORO

Chi s'imbosca nei paradisi fiscali esteri resta italiano. Per Tremonti conta il sangue, non l'oro.

Per l'Erario, chi risiede nei paradisi fiscali resta italiano. È una delle novità del Dpef 2009-2013 che prevede, tra le norme di perequazione tributaria, "l'eliminazione dei regimi di favore fiscale per gli extra compensi (stock option) e della presunzione generale, con rovesciamento dell'onere della prova, che gli italiani residenti nei paradisi fiscali siano fiscalmente italiani". "È l'uovo di Colombo", ha commentato il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Il Governo adotterà misure per correggere il deficit-Pil del 2008, che al momento dovrebbe attestarsi al 2,5 per cento. Lo ha affermato il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, nella conferenza stampa sulla manovra economica. "Il 2008 - ha sottolineato il ministro - chiuderebbe al 2,5 per cento, il che la dice lunga su tesoretti e stabilizzazione. Dobbiamo correggere

Lezioni di napoletano

Nel dialetto napoletano ci sono delle parole che hanno un significato solo se ripetute 2 volte
Esempio:
LENTAMENTE: KIAN KIAN
ADAGIO : CUONC CUONC
COMPLETAMENTE: SAN SAN
METICOLOSAMENTE: PIL PIL
DISTESO: LUONG LUONG..
DISTESO RIGIDAMENTE: TISC TISC!!!

Difficoltà maggiori si hanno con:
ALL'ULTIMO MOMENTO: NGANN NGANN
DI NASCOSTO: AUM AUM

Avverbi di tempo.
ADESSO: MO'.....
IN QUESTO MOMENTO: MO' MO'.

La stessa regola si applica anche al passato
ALLORA: TANN
IN QUEL MOMENTO: TANN TANN

Le parole che iniziano per ' p ' diventano ' ch ':
PIOVE: CHIOV
PIANGERE: CHIAGNR
PIOMBO: CHIUMM

Invece le parole che iniziano per ' g ' perdono la g iniziale.
GIORNO: IUORN
LA GATTA: A' IATT
GENERO: O' IENNR

Nota: difficoltà maggiori si hanno con le parole che iniziano per "s" che si trasforma in ' n ' apostrofata.

SPORCO: N' ZVAT
SPOSATO: N'ZURAT
SOPRA: N'GOPP
SUGNA: N'ZOGN

Il ' VERBO ECCERE" è intraducibile in altre lingue e si coniuga diversamente se una persona è vicina o lontana.

Indicativo presente il verbo ECCERE fà : OICCAN, OILLOC, OILLAN al plurale: EBBICCAN, EBBIGLIOC, EBBILLANN.

Da ricordare che il napoletano, spesso, riesce, in poche parole, a sintetizzare concetti che in italiano sono complessi:

La vocale' e ' da sola significa DEVI:
L'E Ià FRNì = LA DEVI SMETTERE

La lettera ' i ' da sola significa ANDARE
C N VULIMM ì = CE NE VOGLIAMO ANDARE

Oppure scoprire frequentazioni comuni dopo un lungo periodo di tempo' =
ASCììì A' PARIENT!!!

Oppure cercare di convincere una persona a compiere azioni che altrimenti non avrebbe mai fatto:
A' BABBIààà!

Meccanismo congegno elettronico mal funzionante: KIUOV

Parlare apertamente di una persona di cui non si vuole dire esplicitamente il nome: L'AMICO FRIZZ!!!

Molto particolari sono poi gli aggettivi possessivi (MIO, TUO, SUO...)
che in napoletano diventano una desinenza che si aggiunge al sostantivo a cui si riferiscono.

ES. MIO PADRE diventa Pat + m

MIO PADRE: PATM
TUO PADRE: PATT
La terza persona fa eccezione. E' sbagliato dire PATS, ma si dice: O' PAT E KILL (il padre di quello.

mercoledì 18 giugno 2008

MUSUMECI: “SONO IL VINCITORE MORALE”

L'europarlamentare commenta il suo straordinario risultato (oltre il 26% dei consensi) conseguito alle Comunali di Catania che hanno visto il risicato successo di Raffaele Stancanelli. “Sono il vincitore morale. Il sindaco non può non tenere conto che più di metà di Catania non lo ha votato. Ci sono 14 mila voti annullati e nelle prossime ore decideremo se presentare ricorso”. Le liste ‘arancioni’ conquistano 6 consiglieri comunali e 3 provinciali

Voto di scambio, Musumeci attacca

Antiamericani da sempre

Nè USA nè Urss

martedì 17 giugno 2008

Occidente e Islam


Di seguito è riprodotto parte dell'intervento del prof FRANCO CARDINI - il più grande medioevalista italiano - sul tema dello scontro di civiltà in atto tra Occidente e Islam. Il professore espone le sue critiche ad un modello, il nostro, che, con il suo indivualismo e globalismo spinto, ha distrutto la nostra coesione culturale. E' tempo di ridiscutere i nostri rapporti con il mondo musulmano da cui l'Italia non può prescindere. Per fare ciò, naturalmente, è necessario porre fine al nostro servilismo nei confronti degli USA e di Israele per tornare ad essere paese nel mediterraneo. Anni fa, quando ancora ero un pischelletto, ho avuto la fortuna di scambiare lunghe e complesse email con il disponibilissimo prof Cardini il quale volle commentare - spontaneamente - un mio articolo ponendomi interrogativi che mi hanno poi indotto ad approfondire la cultura islamica tramite la lettura dei suoi stessi libri. Lo ringrazio di cuore ancora oggi per avermi insegnato ciò che i canali di propaganda non ci mostrano mai. Le università italiane avrebbero bisogno di tanti storici così.

lunedì 16 giugno 2008

READY FOR THE STORM

Sera di giugno


Cade oggi il 29esimo anniversario della morte di Francesco Cecchin, barbaramente ucciso dai comunisti il 16 Giugno del 1979 e ritrovato con le chiavi di casa ancora strette in mano. A tanti anni dalla sua morte, i responsabili non sono ancora stati individuati e l'inchiesta è stata mestamente chiusa, non senza che il magistrato abbia sottolineato nella sentenza le "gravi deficienze degli organi competenti nel compiere le prime indagini", ammettendo fra le righe ciò che molti sapevano sin dall'inizio: che si tentò (e si riuscì) d'insabbiare in ogni modo il fatto e di farla fare franca agli assassini. Del resto da Primavalle ad Acca Larentia il leit motive è sempre lo stesso: uccidere un fascista non è reato.

Francesco è morto dopo ben 18 giorni di agonia. Fu buttato giù da un muro di piazza Vescovio, nel quartiere Trieste-Salario, mentre tentava sfuggire a chi l'aveva già condannato. La sera del 28 maggio quattro ragazzi del Fronte della Gioventù, tra cui Francesco Cecchin, stavano affiggendo dei manifesti, ma vennero notati da un gruppo di comunisti che li circondano. Dopo aver allontanato in modo spiccio un agente di P.S. in borghes, minacciano i ragazzi del Fronte e, in particolare, Francesco: "TU STAI ATTENTO, CHE SE POI SE CI INCAZZIAMO TI POTRESTI FARE MALE!"; gli intimano.

La stessa sera, intorno alla mezzanotte, Francesco Cecchin scende di casa insieme alla sorella per una passeggiata, ma spunta una Fiat 850 bianca che compie una brusca frenata davanti a loro; dall'auto scende un uomo che urla all'indirizzo di Francesco: "E' lui, è lui, prendetelo!". Riconoscendo l'aggressore, Francesco fa allontanare la sorella e tenta di fuggire inseguito dagli occupanti della macchina, ma non ha scampo. Verrà trovato in posizione supina ad una distanza di circa un metro e mezzo dalla base di un muro.

Oggi, probabilmente, i carnefici di Francesco saranno dirigenti, manager o direttori di giornale. I falsi figli del proletariato si sono sempre potuti permettere di giocare con la vita degli altri, perchè un posto di rilievo nella società che conta comunque gli era stato riservarto. Basta accendere la tv per trovare ex militanti di Lotta Continua o Potere Operaio che pontificano e che, anzi, ci fanno persino delle lezioni di liberismo e libertà.

Per questo motivo, ai militanti di destra - DI DESTRA - che in quegli anni si opposero all'arroganza comunista, noi non possiamo che rendere omaggio onorandone la memoria. Oggi il ricordo di Francesco deve essere più vivo che mai, soprattutto in virtù del fatto che qualche giornalista sta ricreando, consapevolmente, un clima di tensione che abbiamo già vissuto e che sarebbe tutto a vantaggio di chi detiene giornali, potere e diritto di parola.

Oggi a Roma ci sarà l'annuale presente in ricordo di Francesco. Qui gli dedichiamo il nostro pensiero, la nostra preghiera, il nostro presente silenzioso ma ugualmente forte. Ci hanno negato la giustizia, ma la memoria nessuno potrà cancellarla. Nè un bastardo giornalista, nè un investigatore del regime, nè chi - per il salotto buono o una Camera - ha venduto la sua gente e la sua storia.

Sarà la primavera, sarà la libertà a spazzar via chi vive di ignavia.

domenica 15 giugno 2008

AREA 19

GARE DI FORZA CELTICA POSTNUCLEARE

Nazionalismo minorese


Il Bisogno Di Dirtelo
(Amatino-Proto)

Me ne scennette chella sera senza 'e te
E chistu core me fa male commo 'e 'cche
Luntano a te nun pozzo sta', pecché pecché...
...E camminando per le strade del paese
Io mi chiedéo perché hai illuso le mie attese
Je nun me faccio 'cchiù capace, ma pecché?
Accussì...
RIT.: Sento il bisogno di dirtelo
Rimane ancora cu'mme
Tutto 'st'ammore è fernuto accussì
Ma nun 'o voglio capì
Je senza 'e te...
Pure Pinuccio me l'ha detto: Siente a'mme,
Chesta te piglia 'n giro, overo nun fa pe'tte!.
Io gli risposi: We Pinù, ma pienza a 'tte.
A 'tte....

Ricordi quando mi chiamavi amore mio,
Ed ora invece tu mi dici ora va' via.
Ma forse è meglio si finisce mo' accussì
pe 'mme...

Ti ferisce pure quando non vuoi.
Dentro me
Troverò la forza pe
Nun suffrì e nun murì.
Senza 'e te amore mio come farò...

sabato 14 giugno 2008

Welcome to Scampia

Lo stato non vede, non sente non parla, così la camorra gestisce indisturbata le sue piazze di spaccio

Strisce blue illegali

Soffio del vento

Incappucciate 100 pompe di benzina nella notte a Roma

Giovani La Destra, governo tagli immediatamente accise


(ANSA) - ROMA, 14 GIU - 'Abbiamo 'incappucciato', con sacchi della spazzatura, 100 pompe di benzina nella notte a Roma', comunica Gioventu' Italiana de 'La Destra'. 'Abbiamo compiuto questo gesto simbolico - prosegue la nota del Nucleo Romano - con tanto di volantini affissi per protestare contro il caro benzina aggravato dalle tasse che corrispondono ormai a circa il 60% del costo del carburante. Basta con il carovita e chiediamo al governo di tagliare immediatamente tutte le accise'

venerdì 13 giugno 2008

NON SANNO PIù CHE FARE

DOPO L’ESERCITO ORA I VOLONTARI!



L’emergenza rifiuti assume a Napoli contorni drammatici e grotteschi allo stesso tempo.I cumuli di rifiuti che ora invadono di nuovo il centro cittadino oltre a lastricare tutte le strade della periferia e della provincia,emanano miasmi nauseabondi,ed il rischio di infezioni ed epidemie diventa quasi una certezza. Il Presidente Berlusconi,dichiara che c’è bisogno dei volontari per liberare le strade di Napoli dall’immondizia dopo il fallimento di Prefetti,Generali,Esercito,Politici e Commissari,la gente non sa più se ridere o piangere. Noi chiediamo a Silvio Berlusconi,tre cose,per rendere di nuovo credibile la politica agli occhi dei cittadini Campani:la dimissioni immediate di Bassolino,Iervolino e Di Palma,le dimissioni dei consiglieri del centro-destra negli enti locali Regione,Provincia e Comune Di Napoli,ed in prima persona al Presidente di venire a Napoli,non per annunciare cosa occorre fare per risolvere l’emergenza,ma invece cosa è stato fatto per risolvere l’emergenza,a che punto sono i lavori dei termovalorizzatori,a quali pene sono stati condannati i responsabili del disastro Campania. Il popolo Napoletano non capirebbe perché nessuno parla più delle responsabilità politiche dello scandalo rifiuti,e perché il centro-destra non incalza Bassolino e la sua gestione amministrativa.



CASAPOUND e la tanta gente onesta che nonostante tutto questo, ancora abita in questa regione chiede di arrestare i responsabili e farli marcire in prigione.

MUTUO SOCIALE COSTIERA AMALFITANA

Come dire dove non si puo passiamo.

giovedì 12 giugno 2008

Dal rosso Trevi alla monnezza a pois


Da ieri Graziano Cecchini è in Campania, ma non svelerò in quale città. Preparatevi ad un nuovo agguato futurista.

mercoledì 11 giugno 2008

Giovanni Comisso

Giovane dal carattere eccentrico, volitivo e sognatore, dopo aver completato gli studi classici e laureatosi in legge all'università di Siena, partecipa volontario alla prima guerra mondiale in quanto interventista convinto. Concluso il conflitto, ritenendo come la maggior parte dei volontari che i nuovi assetti geopolitici siano stati formulati con accordi di vertice, senza consenso popolare, partecipa il 12 settembre 1919 all'impresa di Fiume a fianco di Gabriele D'Annunzio e dei suoi legionari. Alla fine anche di questa esperienza riprende la sua attività di avvocato, ma attratto da esperienze sempre diverse. Abbandona dunque la carriera legale per dedicarsi a svariati mestieri: è libraio a Milano, commerciante d'arte a Parigi. Ebbe nella sua lunga vita avventurosa un lungo sodalizio con il pittore De Pisis e con lo scultore Arturo Martini.

Il suo primo romanzo Il porto dell'amore (1924), edizione definitiva con il titolo Al vento dell'Adriatico (1928), risente degli influssi dannunziani.

Comisso collabora alle riviste Solaria, L'Italiano, al settimanale Il Mondo. Persona dotata di grande vitalità e curiosità, grazie alla sua memoria visiva e ad una buona propensione di sintesi descrittiva nello scrivere romanzi, diventa corrispondente e inviato speciale della Gazzetta del Popolo e poi del Corriere della Sera. Viaggia molto in Europa e in Oriente, scrivendo interessanti resoconti: Cina-Giappone, (1932) L'italiano errante per l'Italia, (1937) che poi nella stesura finale diventa La favorita, (1945).

Dopo il felice esordio de Il porto dell'amore (1924), fino ad arrivare a Cribol(1964), romanzo non troppo gradito sia al pubblico sia alla critica , Comisso conclude la sua attività letteraria con una stesura riveduta del libro La mia casa di campagna, databile ad appena un anno prima della scomparsa.

Giovanni Comisso è stato il più estroso e il più irregolare di tutti gli scrittori vicini ala rivista Solaria,i suoi scritti combaciano in modo sorprendente con la sua vita irregolare ,densa e profonda di uomo di mondo, e la seguono quasi in modo parallelo, ciò è anche dovuto al fatto che, come molti autori del tempo, gran parte delle pagine stampate derivano da corrispondenze, articoli giornalistici e anche da racconti che allora si usava pubblicare regolarmente nella Terza pagina dei quotidiani.
Alcune sue opere nascono da osservazioni e divagazioni, dove l'erotismo ha una parte considerevole; altri rievocano personaggi conosciuti; altri ancora sono impressioni dì mare e di campagna, dì città illustri e dì paesi sconosciuti , ricordi di viaggi compiuti in Italia, in Europa, in Africa e in Oriente La Favorita, Amori d'oriente, Questa è Parigi. Tutto questo gli da modo di riflettere su certi avvenimenti, specie quando da essi l'autore viene toccato direttamente. Egocentrico e sensuale, Comisso ha sempre amato viaggiare per aver poi il piacere di raccontare. Tutte insieme le centinaia di pagine scritte formano un catalogo delle sue preferenze in fatto di vita come l'ozio, la libertà, il vagabondaggio, il gusto dì fantasticare.
Comisso, definitosi "Uomo di mare, dì commerci" o anche un "italiano errante per l'Italia" ,saggia con mano leggera diversi generi letterari: la prosa di viaggio, il racconto, il romanzo, l'autobiografia, il saggio, partendo da una sempre più arricchita esperienza umana,come si può notare nel suo In giorni di guerra e in Il porto dell'amore. In seguito la sua curiosità e il suo estro, sostenuti da una prosa evocativa, sono stati pronti ad accogliere ogni eco della vita e in particolare della sua vita, delle proprie avventure terrene.

UNA FRASE CHE RIMARRA ETERNA

martedì 10 giugno 2008

QUALCUNO ERA FASCISTA


Qualcuno era fascista perché era nato a Littoria
Qualcuno era fascista perché il nonno lo zio il papà… anche la mamma
Qualcuno era fascista perché la Russia era un gulag, la Cina troppo vicina, e “il
sole non sorge più ad est”
Qualcuno era fascista perché si sentiva “In un mondo che non ci vuole più…”
Qualcuno era fascista perché aveva avuto un’educazione… un’educazione…
aveva avuto un’educazione?
Qualcuno era fascista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura
lo esigeva, la letteratura e tutta l’intellighenzia italiota esigevano… di essere
antifascisti
Qualcuno era fascista perché lo sapeva lui il perché
Qualcuno era fascista ma non lo sapeva
Qualcuno era fascista perché prima… prima… prima… era stato Ghibellino
Qualcuno era fascista perché i comunisti: “Veniamo da lontano e andiamo
lontano…” e meno male che siete solo di passaggio
Qualcuno era fascista perché “mica è vero che Almirante era un fucilatore”
Qualcuno era fascista perché Berlinguer è marchese, c’ha mezza Sardegna e
c’ha pure er coraggio de parlà’ in nome del proletariato
Qualcuno era fascista perché era ricco e gli altri… gli altri: “Aho! ma che me
frega a me degli altri: chi vo’ dio se lo prega da sé”
Qualcuno era fascista perché beveva vino e si commuoveva ricordando le
oceaniche adunate
Qualcuno era fascista perché non credeva in Dio ma, ormai: “Soltanto un Dio ci
può salvare”
Qualcuno era fascista perché “…ma che cazzo vonno ‘sti operai?”
Qualcuno era fascista perché aveva letto “L’operaio”
Qualcuno era fascista perché il padrone l’aumento di stipendio glielo aveva
promesso sulla tomba del duce
Qualcuno era fascista perché la rivoluzione oggi forse no, ma “il domani
appartiene [sicuramente] a noi”
Qualcuno era fascista perché “Dio, patria e famiglia… ostia”
Qualcuno era fascista per far rabbia al padre ex partigiano
Qualcuno era fascista perché la TV è l’occhio del Grande fratello
Qualcuno era fascista perché odiava le mode, qualcuno per principio e qualcuno
per frustrazione
Qualcuno era fascista perché “la proprietà privata è sacra…”
Qualcuno era fascista proprio perché voleva diventare proprietario
Qualcuno era fascista perché aveva scambiato il Manifesto di Verona per i Dieci
Comandamenti
Qualcuno era fascista perché era convinto che la classe operaia aveva preso un
abbaglio
Qualcuno era fascista perché: “Tutto nello Stato. Tutto per lo Stato. Nulla contro
lo Stato”
Qualcuno era fascista perché era un impiegato dello Stato
Qualcuno era fascista perché “se stava mejo quando se stava peggio…”
Qualcuno era fascista perché a furia di tapparsi il naso e votare D.C. rischiava di
soffocare
Qualcuno era fascista perché quella che chiamano democrazia è una truffa
tragica e oscena
Qualcuno era fascista perché aveva capito che gli americani confondevano la
libertà con il libero mercato
Qualcuno era fascista perché sognava l’Europa dei popoli, non delle banche
Qualcuno era fascista perché c’era il grande partito comunista
Qualcuno era fascista malgrado ci fosse il partito comunista armato
Qualcuno era fascista perché era contro… era contro… e basta
Qualcuno era fascista perché più fascista di così si muore
Qualcuno era fascista perché “Uccidere i fascisti non è reato”…e, infatti, Acca
Larenzia, i fratelli Mattei, Michele Mantakas, Paolo Di Nella, Mario Zicchieri,
Angelo Pistolesi, Sergio Ramelli… ecc... ecc...
Qualcuno... qualcuno diceva di essere fascista e invece era qualcos’altro
Qualcuno era fascista perché “Una vita felice è impossibile. Il massimo a cui un uomo può aspirare è una vita eroica”
Qualcuno era fascista di sinistra perché quelli di destra volevano l’ordine prima di tutto e lui, invece, voleva la socializzazione
Perché sentiva la necessità di rivoltarsi contro il mondo moderno
Perché forse non voleva niente ma lo voleva con tutte le sue forze

Sì, qualcuno era fascista perché si voleva sentire al di là di se stesso. Al di là della personale fatica quotidiana ad esistere. Perché si sentiva parte di qualcosa che esisteva prima, molto prima del fascismo. E andava oltre.

Era una generazione nata con le ali bruciate che sognava di risorgere dalle proprie ceneri…

No. Niente rimpianti. Forse anche allora molti sognavano le ali solo per potersele amputare da soli… O di amputare, il che è peggio, quelle degli altri.

E ora? Anche ora si va oltre. Ma in direzioni opposte. Da una parte chi attraversa obliquo lo squallore di un potere fine a se stesso e, dall’altra, la solita araba fenice che, alla fine, si accontenta di volare solo come cenere nel vento perché non può più neanche permettersi il sogno delle sue ali.

Due miserie opposte… precipitate dalla stessa maledettissima storia.

Intervista ad Umberto Croppi

Premessa: quando l'ho ascoltato per la prima volta, pensavo che fosse comunista. Poi, nel tempo, mi sono convinto: è comunista per davvero. Non quequero come quelli di nostra conoscenza, ma uno che sa fondere assieme D'Annunzio e Guevara, l'ecologismo con il futurismo e il culto della velocità, il Tibet con il mito dell'Europa dei popoli, Tolkien con l'eurasia e i valori spirituali con i campi hobbit di cui fu ispiratore e dei quali in molti hanno tanta nostalgia. Insomma un comunista interessante. Oggi Croppi fa l'assessore alla cultura per Alemanno.


Umberto, dicono di te che sei il fascista più comunista del dopoguerra.
«Per me, ma anche per molti altri, il Msi è stata un’esperienza di sinistra».

Con tutta la buona volontà...
«L’elettorato era di destra ma quasi nessuno di noi si considerava di destra».

Quasi nessuno chi?
«Perfino quelli più reazionari. Hai tempo?».

Quanto ne vuoi.
«L’Msi nacque proprio perché la Dc temeva una frana a sinistra dei giovani di Salò. Alcuni, come Stanis Ruinas, che aveva fondato la rivista Pensiero nazionale, erano addirittura finanziati dal Pci di Togliatti. La Dc, per porre rimedio, concordò con i vertici in latitanza della Repubblica di Salò la nascita di un partito che li raccogliesse».

Il Msi... un partito di sinistra... fondato dalla Dc...
«I vertici dell’Msi sapevano benissimo che i voti dovevano prenderli a destra. Un caso di schizofrenia. Ti ricordi la corrente di Almirante? Si chiamava “Sinistra Nazionale”».

I più di sinistra chi erano?
«Un esempio: Beppe Niccolai. Era proprio comunista. Un comunista che aveva aderito al fascismo. Il suo archivio era per metà annate di pubblicazioni di sovietologia. Al congresso del Msi del 1984 iniziò citando Lenin e finì citando Mao. Nessuno se ne accorse. Fu espulso dal Msi perché in una direzione nazionale aveva fatto approvare un ordine del giorno di condanna dei potentati economici approvato dal comitato centrale del Pci la settimana prima. Alla scuola di formazione del Msi studiavamo il modello dell’impresa proprietaria, l’abolizione della proprietà dell’azienda, gli operai che diventano padroni. Quelli come me, e ce ne erano tanti, Almirante li chiamava “castristi”: per le barbe e i capelli lunghi ma soprattutto per quello che dicevano».

Non facevate prima ad entrare nel Pci?
«Ero ben documentato sull’argomento. Mio padre, ex repubblichino, per i miei diciotto anni, mi aveva regalato il Capitale di Carlo Marx. Che ovviamente non ho mai letto. Però avevo letto il Manifesto e gli scritti giovanili di Marx, le tesi su Feuerbach. Ma non ero comunista, né marxista».

Però...
«Però anche esteticamente vestivamo come la sinistra, sembravamo dei punkabbestia e di nascosto coltivavamo la passione per il rock. Perfino Buontempo portava l’eskimo».

Quelli di sinistra ce l’avevano comunque con voi.
«A Valle Giulia gli scontri degli studenti del febbraio ‘68 contro la polizia erano guidati dai fascisti. C’è un famoso poster, molto popolare a sinistra, in cui si vede la prima fila dei manifestanti: sono Stefano Delle Chiaie, Guido Paglia, Franco Papitto. La contrapposizione, i pestaggi, gli omicidi vennero poi. All’università mi candidai nella lista del Fuan. Il giorno del voto una cinquantina di ragazzi mi massacrarono di botte. Al consiglio di facoltà, dove ero stato eletto, persino una persona moderata come il professore Stefano Rodotà chiese la mia espulsione perché “complice degli stupratori del Circeo”».

Non avevate «come si diceva» agibilità politica. E subivate la cosiddetta egemonia culturale della sinistra.
«La storia del ghetto culturale è una scemata che ci siamo cuciti addosso da soli. Ha ragione Gasparri quando dice che Sergio Caputo per avere successo è dovuto andare a sinistra. E sai perché? Perché a destra non gli davano spazio. Qualcuno mi dovrebbe elencare i soggetti respinti da un produttore perché proposti da uno di destra. Fatemi il caso di un libro di qualità rifiutato da un editore perché scritto da un fascista».

Ti piaceva Almirante?
«Lo odiavo. Me ne vergogno ma è così. Però era un uomo coraggioso. Andava a fare comizi in posti impossibili, sempre senza scorta, sulla sua 126. Ogni tanto la rovesciavano con lui dentro».

Tu avevi il mito dello scontro fisico?
«Ho sempre avuto repulsione fisica per la violenza. Il massimo è stato qualche sasso contro la polizia. La fama di picchiatore mi ha forse salvato la pelle. In molte occasioni, di fronte a gruppi ostili, mi ha salvato il sospetto che avessi una pistola in tasca».

Avevi la pistola in tasca?
«No. Nel momento del massimo terrore ne comprai una per tenerla in casa, vivevo isolato in campagna. Non ho mai nemmeno provato se funzionava. Dopo due mesi l’ho buttata in una fogna».

Gli altri giravano armati?
«La paura era tanta. Una volta andai a trovare un amico e mi aprì la mamma con la pistola in mano. Una famiglia della buona borghesia romana».

Avete mai pensato che fosse ridicolo azzannarvi fra voi senza nessun reale motivo?
«È questo il punto. Gli opposti estremismi sono un’invenzione della Dc. L’antifascismo non era una cultura diffusa. Negli anni Sessanta mio padre veniva invitato a parlare, in quanto fascista, ai dibattiti pubblici del Pci. Ma quando Almirante iniziò la defascistizzazione del Msi, abolendo gagliardetti e saluti romani, la Dc cominciò a preoccuparsi e a fargli terra bruciata intorno. E tutto degenerò. In consiglio comunale a Milano la notizia della morte di Ramelli fu accolta da un applauso. E i parroci non davano le chiese per fare il funerale. Il clima era quello e il mandante era la Dc che aveva messo in atto una strategia che gli era sfuggita di mano».

Bastava capirlo e defilarsi.
«Mi sono trovato la porta chiusa. Me ne sarei andato cento volte, ma dove andavo?».

Tu sei fascista?
«In vita mia non ho mai utilizzato vocaboli del fascismo. Non ho mai detto camerata, se non per gioco. Le mie circolari cominciavano con “Cari Amici”. Non ho mai portato una camicia nera. Non ho mai avuto un ritratto del Duce in casa. Non ho mai fatto il saluto romano».

Concludendo?
«Nei primi anni mi sono sentito fascista. Ma non ho mai pensato che si potessero recuperare il nucleo di pensiero né le forme statuali del fascismo che c’era stato».

Per chi voti?
«Appartengo a quella schiera di quattro milioni di italiani che scelgono ogni volta. Sono stato tra i fondatori della Rete di Leoluca Orlando. Quello più assatanato nel tentativo di espellermi perché ero fascista era Claudio Bucci. Che poi è andato con Forza Italia. E Rino Piscitello, ex Democrazia Proletaria, che patrocinava la cordata antirutelliana contro di me, adesso è uno dei più stretti collaboratori di Rutelli. Ha fatto anche l’uomo di Di Pietro salvo poi contribuire a farlo fuori nei Democratici».

Hai votato per la Rete. E poi?
«Sono stato consigliere regionale per i Verdi. Ho partecipato alla fondazione dei Democratici. Ma con loro sono stato poco. Venivo da una scuola di democrazia troppo alta, quella dell’Msi, per stare là».

Perché hai scelto il fascismo?
«Avevo un papà fascista, ex repubblichino, in realtà anarchico di sinistra, grande affabulatore, una cultura straordinaria, leggeva quattro libri per notte. A casa nostra si respirava libertà. Non c’era nemmeno la chiave nella serratura. Poteva entrare chiunque e uscire chiunque. Quando mi parlavano del fascismo come il male assoluto io pensavo: “Ma che dicono? Mio padre è la persona più buona e più colta che io conosca”».

I tuoi miti giovanili?
«Mishima, Kerouac».

Il poster della tua stanza?
«Il capo indiano Nuvola Rossa, e il manifesto della destra americana contro Kennedy, “Wanted for treason”».

Antikennediano?
«Rinnego i motivi di allora, ma mi resta una certa antipatia».

La musica?
«Il primissimo De Andrè. Poi Battisti. Poi i grandi gruppi americani e inglesi, i Santana, i Deep Purple. Poi Battiato».

Mito della destra.
«Battiato è uno dei grandi bluff situazionisti della mia vita. Fui io che alimentai la leggenda che fosse fascista, leggenda nella quale lui alla fine si è riconosciuto volentieri».

L’altra beffa fu la cacciata di Lama dall’università.
«Il vero autore della beffa fu Biagio Cacciola. Fece un comunicato dicendo che avevano partecipato anche i fascisti. Il Settimanale gli fece una grande intervista. Anche Mario Pirani cadde nel trabocchetto. Oggi la partecipazione dei fascisti alla cacciata di Lama è verità storica. Ci crede perfino Cacciola. Non riesco più a convincerlo che non era vero».

Letture?
«Il mio libro di formazione, da bambino, era l’Iliade. Niente buoni, niente cattivi. Tutti eroi. Nel duello tra Achille e Ettore parteggiavo per tutti e due».

Hai avuto amori all’interno del Msi?
«Ho sempre evitato. E alla fine ho sposato un’americana».

E Bruno Vespa non l’ha mai chiamata a parlare dell’11 settembre?
«Io sono convinto che l’attentato alle Torri se lo siano fatti fare. Ma mia moglie pensa addirittura che se lo siano fatti da soli. Non piacerebbe a Vespa».

Uno dei primi a «sdoganarvi» fu Cacciari che accettò di dibattere in pubblico con voi.
«E fu insultato da tutti i suoi amici, quelli che oggi sono finiti in Forza Italia. Ferdinando Adornato in testa (oggi passato nell'Udc, ndr...)».

Il problema dei voltagabbana.
«Io non ce l’ho con chi cambia idea».

Tu l’hai fatto molte volte.
«Ma questi riscrivono le loro biografie. Adornato ricorda di aver scritto che Berlusconi era il nemico in quanto non liberale?».

Altri voltagabbana?
«Il nipote di Andreotti, Luca Danese, eletto con Forza Italia nel 1996, saltato sul carro dell’Ulivo per un posto da sottosegretario».

Tu sei un voltagabbana?
«Ho cambiato parte, ma andando con chi perdeva».

Volendo, avresti fatto carriera nel Msi?
«Quando me ne sono andato ero ai vertici del partito. Se mi fossi candidato alle politiche sarei stato eletto».

Ti sarebbe piaciuto fare il ministro?
«L’avrei fatto bene».

Adesso, editore stimato, sei entrato nei salotti buoni?
«Non mi ha ancora invitato la signora Angiolillo».

Chi sono secondo te i politici emergenti?
«Un grande emergente era Cofferati. Ma appena emerso si è ricacciato sotto. Se l’è giocata malissimo. Poteva fare ciò che voleva. Non ha dimostrato grinta. Doveva mettersi in gioco, rischiare. Da emergente a bollito».

Altri bolliti?
«Di Pietro, portabandiera della negatività tra i politici. Diliberto, Buttiglione, Schifani».

Hai mai urlato slogan di cui ti sei pentito?
«Scrissi un manifesto: “Con i comunisti non si discute, si combatte”. Me ne pentii subito».

E nei cortei?
«Strillavo: “Cile, Cile, Argentina, l’Italia come l’America Latina”. Idiozie».

Nemici, risse?
«Con Fini c’è stato qualche momento di tensione. Con Almirante scontri veri. Da giovane aggredii, verbalmente, Giulio Andreotti, sul sagrato della cattedrale di Palestrina».

Gioco della torre. Mughini o Guerri?
«Mughini mi è diventato amico quando era difficile dichiararsi amico di un fascista».

Mastella o Cirino Pomicino?
«Cirino Pomicino è entrato nella storia. È stato il mostro nella stagione di Tangentopoli e oggi si consente il lusso di passare da una parte all’altra. È un gigante».

Ha dato il via alla transumanza. Chi lo seguirà?
«De Michelis e l’abruzzese Rocco Salini di Forza Italia».

Santanchè o Mussolini?
«La Mussolini è un grande equivoco politico dovuto a quegli incauti che nel ’93 la candidarono perché si chiamava Mussolini. Ora si lamentano perché si chiama Mussolini».