lunedì 15 settembre 2008

L'isola dei famosi.

di Gabriele Adinolfi

La gazzarra sull'antifascismo che ha tenuto banco la scorsa settimana non interessa quasi nessuno. Certamente è fondamentale per alcuni sacerdoti dell'ideologia chiamati a difendere il loro primato. E' – o almeno così si ostinano a credere un po' irrealisticamente – l'ancora di salvezza per gli agitatori di truppe allo sbando e riguarda infine chi ha un cuore e una memoria molto sviluppata. Tutti insieme costoro, tra i quali io stesso che faccio sicuramente parte della terza categoria, sono sì e no tre o quattrocentomila persone. Insomma è l'isola dei famosi sommata a quella dei naufraghi...

Sicché, mentre è alle porte un rischio di guerra mondiale, si annuncia una recessione e sono in gioco le sorti dell'Alitalia e dei suoi dipendenti, l'Italia si è dovuta sorbire una sfida verbale sulla memoria. Cinquanta e rotti milioni dei nostri concittadini l'hanno seguita con noia e senza molta attenzione tanto che, prima della professione di fede antifascista di sabato da parte di Fini, l'opinione corrente era che questo governo avesse reso onore ai combattenti di Salò (sempre che ci sia qualche milione di italiani che sappia che è esistita Salò o addirittura che c'è stata una guerra). L'ultimo segno in tal senso lo aveva dato il Primo Ministro che aveva ricordato Italo Balbo e aggiunto: «Gli inglesi ci guardano dall'alto in basso. Ma noi siamo il Paese con più cultura al mondo e non dobbiamo avere complessi d'inferiorità nei confronti di nessuno». Così Silvio Berlusconi in camicia nera ad un pubblico di giovani alla vigilia delle esternazioni finiane che andavano, invece, non a caso nella direzione di Napolitano, Casini e Di Pietro.

Potremmo allora sostenere a piacimento una delle due tesi che seguono: ovvero che alla festa giovanile pidiellina, Atreju, i due leaders hanno fatto il gioco delle parti oppure che si sono mostrati per quello che chiaramente sono: un uomo libero e uno no, un uomo coraggioso e uno no, un uomo onesto e un calcolatore. Ma se ragionassimo così articoleremmo comunque un ragionamento un po' corto. Difatti una sfida su questo argomento oggi chi interessa? Non solo non tocca minimamente la gente comune ma fa una fatica improba a mobilitare persino le vestali antifasciste come ho avuto modo di verificare proprio in questi giorni a Torino dove non solo il Pd ma gran parte della sinistra radicale ha sbadigliato al richiamo della foresta e lo ha massicciamente disertato. Allora che senso ha? Perché Fini si è prestato a un giochino superfluo, che non ha alcuna incidenza popolare, e che non può non risultare imbarazzante neppure ad uno con la sua concezione della morale?

Semplicemente perché il giochino è un altro e l'antifascismo non è che un pretesto utilizzato per giocare a tale gioco; che è il seguente. L'attuale governo – che non è l'unica espressione possibile della maggioranza – è impegnato in un conflitto inter/finanziario e in un posizionamento geopolitico che si possono definire europei ed è l'esecutivo meno docile, da ventitré anni in qua, nei confronti dei gruppi di potere angloamericano. L'autunno caldo può essere fatale per questo governo; un governo al quale non esistono alternative oggi praticabili se non una maggioranza allargata di stampo “tecnocratico” benedetta e orientata dal Quirinale. Orbene serve un possibile catalizzatore all'interno della maggioranza perché si possa delineare una simile possibilità. E Fini, che da sempre è parte integrante del partito Wasp, schierandosi apertamente dietro Napolitano, si propone fortemente come l'alternativa a Berlusconi. Non è perciò affatto un caso che alla festa di Atreju il Premier abbia lanciato una frecciata proprio all'Inghilterra che è la potenza a cui Fini risponde in linea diretta. Stiamo assistendo a scambi di colpi col fioretto in attesa di vedere se il governo si troverà in difficoltà e in quel caso si passerà alla sciabola.

Mi rendo conto che certe chiavi di lettura necessitino di una lunga esperienza e di una buona preparazione per essere colte ma gli addetti ai lavori le capiscono perfettamente. Quello che fa sorridere in tutto ciò è l'estrema destra (o meglio quel poco che ne resta) che oggi aumenta i toni antiberlusconiani senza rendersi nemmeno conto di quanto stia inquadrata dietro Fini e di come ne sia, ancora e sempre, inconsapevole cortigiana. Questo non è, però, che un aspetto spassoso del quadro perché l'estrema destra (o meglio quel poco che ne resta) non conta alcunché avendo dato prova in un quindicennio delle sue reali capacità. La questione non riguarda affatto il pulviscolo post-fiuggino, trascende i partiti e gli schieramenti reali, figuriamoci la destra terminale. La partita si giocherà su piani precisi cui i partitelli non hanno accesso e nei quali i grandi partiti sono amministratori clientelari subordinati alle oligarchie che li attraversano: quelli finanziario, energetico ed economico innanzitutto. Come andrà a finire lo scopriremo prestissimo: se il Paese andrà a rotoli allora rotolerà anche lontano da Putin, da Berlino, dal Mediterraneo, cioè da ogni potenziale di autonomia e di messa in piedi; e in quel caso avremo Fini e non Berlusconi. E a differenza del Premier Fini si presenterà in camicia bianca, in rigorosa uniforme da cameriere.

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