giovedì 11 settembre 2008

Le veline di Maya



Perché l'antifascismo non funziona più

Alcuni sono rimasti esterrefatti dalla mancata reazione a certe presunte revisioni storiche filo-fasciste. E costoro imputano quanto accade a una scarsa “vigilanza democratica”. A spiegare quanto avviene - e che travolge tutti i dogmi sui quali si è formata una classe dirigente ideologizzata e spiazzata di fronte al reale – è tutt'altra cosa.

Venuta meno la pressione, l'eccitazione, l'oppressione, la violenza, oggi riaffiora il sentimento popolare. Un sentimento popolare che, per tradizione orale e spesso anche per esperienza diretta, ha del Regime fascista un ottimo ricordo sia morale che economico e culturale. L'antifascismo in Italia fu sempre un sentimento fortissimo nutrito da una minoranza molto ma molto ristretta che non aveva sopportato di essere stata sconfitta politicamente da Mussolini.

Quando quella minoranza poté scatenarsi in un baccanale orgiastico di sangue sancì anche il varo di un delitto ideologico e impose l'antifascismo. Un antifascismo che per la grande maggioranza degli italiani fu un aggettivo, un'appendice, una suppellettile. Solo le minoranze organizzate lo sbandierarono sempre e comunque tanto da farne un vero e proprio abuso; fissando in quella parola magica la quintessenza di ogni male v'identificarono tutti i propri difetti (repressione, chiusura mentale, violenza) cercando di realizzare una propria catarsi su di un capro espiatorio preordinato. Questa prassi le spinse a forzare la realtà eliminando tutto quanto del fascismo potesse essere considerato da chiunque positivo ma non solo: la travisarono al punto che, tanto per fare un esempio clamoroso, il Regime che si occupò delle ragazze madri, di dare dignità alle donne e che irrigimentò le Ausiliarie nell'esercito fu contrabbandato come antifemminista e puritano. Un ottimo modo per eludere il problema così rosso degli “angeli del ciclostile!” Non fosse stato per il cecchinaggio sui sedicenni che quell'odio sciocco provocò, l'antifascismo era divenuta una divertente cartina di tornasole del fallimento dei rivoluzionari di salotto che si andava a sommare alla bancarotta politica di una classe dirigente che con rarissime eccezioni (come Enrico Mattei) fece le poche cose decenti che riuscì a combinare nel dopoguerra solo tramite funzionari che venivano direttamente dal fascismo e che dell'antifascismo mai fecero bandiera.

Poi si è visto cosa ha prodotto la classe dirigente antifascista una volta liberatasi dei funzionari trasformisti e gli italiani hanno così fatto automaticamente il paragone fino a dirsi: erano meglio i fascisti o, perlomeno, questi sono peggio.

Infine ci ha pensato l'età a falciare praticamente tutti i “padri della Repubblica” e a seppellirli senza che nessuno ne serbi ancora un ricordo visto che, odio istigato a parte, raramente hanno lasciato una traccia di sé tanto furono mediocri. Oggi la gente vuole risposte pratiche ed è stanca di anatemi e di dogmi. Chi però ha legato la sua cultura individuale o la sua carriera futura sulla “continuità” del fariseismo partigiano si ritrova fuori gioco. Può stupirsi, può suonare il tam tam dandosi reciprocamente ragione in un annoiato deserto come alcuni esponenti politici si provano a fare oggi, o può provare a riattivare gli odi; ma dubitiamo che riescano a farsi dar retta. Sono arrivati al capolinea di una metropolitana che ha dismesso il servizio.

Gabriele Adinolfi

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