Gli orfani di Salò.
di Antonio Carioti,Mursia editore, 2008
Presentazione
Poco dopo la fine della guerra irrompe nelle scuole, nelle università e nelle piazze d’Italia una presenza rumorosa e inaspettata: migliaia di giovani che agitano i simboli e cantano gli inni del fascismo, guidando le più affollate manifestazioni studentesche dell’epoca, quelle per il ritorno di Trieste alla madrepatria. Molti sono reduci della RSI, altri non hanno fatto in tempo a parteciparvi, ma tutti vivono l’avventura di Salò come un mito eroico, l’ultimo sussulto di dignità della nazione. Rifiutano l’Italia democratica, ma spesso contestano duramente anche i dirigenti del MSI per la loro linea moderata e compromissoria. Non si limitano a lottare nelle piazze, ma studiano, discutono, pubblicano riviste, trovano maestri come il filosofo tradizionalista Julius Evola. Sono i protagonisti di un «Sessantotto nero» che lascia il segno nella vicenda della destra italiana. Questa è la loro storia.
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Recensione: "Reduci di Salò, precursori del '68" (Corriere della Sera, 3 maggio 2008)
di Giovanni Belardelli
È da qualche anno, ormai, che gli storici si vanno interessando dei giovani, e spesso giovanissimi, italiani che dopo l'8 settembre 1943 scelsero la Repubblica sociale, soprattutto per un atto di estrema ribellione contro il «tradimento» del re e di Badoglio. Meno noto è che, nei primi anni del dopoguerra, molti di quei giovani avrebbero animato un movimento che, per capacità di mobilitazione e vivacità culturale, può essere addirittura considerato una specie di «Sessantotto nero». Questa appunto è la definizione che utilizza Antonio Carioti, in un lavoro di grande interesse dedicato a un settore minoritario ma certo non irrilevante del mondo giovanile (Gli orfani di Salò, Mursia, pp. 293, euro 17). Basti ricordare la sua capacità di penetrazione nel mondo universitario: nel 1950, ad esempio, nelle elezioni per le rappresentanze studentesche i neofascisti conquistarono a Roma il primo posto. Presto i giovani missini diventano protagonisti delle agitazioni contro l'aumento delle tasse universitarie, trovando in questo la collaborazione dei coetanei di estrema sinistra. Ma la grande questione che permette loro di acquisire consensi anche nelle scuole medie è quella giuliana: nelle manifestazioni contro Tito e per il ritorno all'Italia dell'intero Territorio libero di Trieste trovano la possibilità di intercettare un sentimento patriottico che sembra ricevere scarsa o nulla attenzione dagli altri partiti.
Il ruolo dei giovani neofascisti si rivela decisivo nell'affermare con l'impiego della forza fisica il diritto del Msi a scendere in piazza, messo spesso in discussione, soprattutto nelle città del Nord, dal diretto intervento dei militanti comunisti. Il libro di Carioti restituisce qui efficacemente il quadro di un'Italia dominata, ben prima dei cosiddetti «anni di piombo», dallo scontro violento tra fascisti e comunisti. All'inizio si tratta per i missini di difendere la possibilità di scendere in piazza; ma su questo si innesta anche una tendenza a considerare positivamente la violenza, circondandola magari di un'aura eroica. Ecco come un giovane neofascista di allora descrive oggi un episodio del settembre 1947, quando Almirante fu costretto da un gran numero di militanti di sinistra a terminare un comizio dopo appena dieci minuti dall'inizio: «Eravamo in 42 quel giorno e ci sentimmo come i 300 delle Termopili». Sembra che, alla ricerca di azioni clamorose, qualche neofascista progettasse addirittura l'assassinio del direttore dell'Unità Renato Mieli (padre dell'attuale direttore del Corriere). Pochi anni dopo alcuni giovani neofascisti avrebbero imboccato anche la via degli attentati dinamitardi contro le sedi di partiti e organizzazioni antifasciste.
L'intensità e la facilità con cui nei primi anni del dopoguerra l'estrema destra pratica la violenza non deve far dimenticare che anche la sinistra comunista non disdegna all'epoca metodi in parte analoghi. Tra i casi più clamorosi riferiti da Carioti, l'uccisione di Franco De Agazio, direttore del settimanale neofascista milanese Il Meridiano d'Italia, nel marzo 1947, o la devastazione della sede del Msi compiuta dal Pci torinese, che nelle modalità (mobili e documenti gettati dalle finestre, falò acceso sulla strada) sembra riprodurre le azioni squadriste del primo dopoguerra. In realtà, l'atteggiamento del partito di Togliatti nei confronti dei giovani missini è ambivalente. Da una parte, appunto, il Pci non ostacola le spinte della base in direzione di un «antifascismo militante», necessariamente violento. Dall'altra è lo stesso segretario a condividere la strategia dell'attenzione nei confronti dei reduci di Salò messa in atto soprattutto da Ruggero Zangrandi, che nel febbraio 1947 riconosce loro «un malinteso e tuttavia non troppo facilmente discutibile amor di Patria». Qualche anno dopo sarà l'allora segretario della Fgci Enrico Berlinguer a formulare giudizi analoghi, ma - come osserva Carioti - con una importante differenza. Se da principio il Pci mostrava di voler recuperare gli ex fascisti, ora nel 1950 si dichiara disposto alla collaborazione con i fascisti che continuano a dichiararsi tali: il giornale dei giovani comunisti Pattuglia, ad esempio, ospita un articolo di Pino Rauti. Il fatto è che, nel nuovo clima internazionale determinato dalla guerra di Corea, i giovani missini appaiono ai dirigenti comunisti come possibili alleati nella lotta all'«imperialismo americano».
La maggioranza dei giovani neofascisti, infatti, è risolutamente antiamericana: ed è questo uno degli elementi che alimentano il conflitto continuo che li oppone a una dirigenza del Msi che, sia pure tra mille cautele, si va orientando ad accettare il Patto atlantico e la scelta occidentale dell'Italia. Più in generale, una parte cospicua del movimento giovanile contesta la scelta del partito di aprire alle forze moderate e conservatrici (monarchici, liberali, in prospettiva la stessa Dc). Quando alla Camera, nel 1949, Almirante parla di «accettazione integrale» del metodo democratico, i giovani missini protestano con forza. In particolare, ad opporsi è la corrente «spiritualista», che ha una forte influenza tra i giovani di estrema destra. Seguaci di Evola, gli «spiritualisti» considerano «americanismo» e «bolscevismo» come due facce dello stesso male, contestano il capitalismo e la società di massa, rifiutano in blocco la modernità in quanto irrimediabilmente edonistica. Il loro radicalismo, che ripropone un ritorno alla tradizione (il Sacro Romano Impero e la civiltà feudale sarebbero «le due ultime grandi apparizioni tradizionali che l'Occidente conobbe»), li porta a prendere le distanze perfino da certi aspetti del fascismo in quanto frutto anch'esso della aborrita modernità. Il libro di Carioti si arresta al 1951, quando gli «spiritualisti» conquistano la leadership del movimento giovanile. Ma queste posizioni avrebbero continuato a condizionare per anni l'estrema destra italiana, divisa tra inserimento nel sistema democratico e sua radicale contestazione.
Indice
Capitolo Primo: Il popolo dell’abisso
(Dal volontariato giovanile nella RSI alla militanza nei gruppi del neofascismo clandestino. Le SAM, mito o realtà? Il ruolo di Romualdi e di Leccisi. L’amnistia. La nascita dei FAR. La fondazione del MSI)
Capitolo Secondo: Il battesimo del fuoco
(Il fallimento della pacificazione. Il tentativo del PCI di attrarre i reduci della RSI. L’ascesa di Almirante nel MSI. La scissione dei FAR. Gli scontri di piazza. La prova vittoriosa delle elezioni amministrative romane. La nascita del Raggruppamento giovanile del MSI e la nomina di Roberto Mieville a suo leader)
Capitolo Terzo: Italia, svegliati!
(Nascono le prime riviste giovanili missine. “La Sfida” di Erra e Rauti, “Architrave” di Finaldi e Tedeschi. L’incontro con il pensiero di Evola. Le elezioni del 1948. Il primo Congresso del MSI e le polemiche interne. Clemente Graziani e l’azione di Taranto. La I Assemblea nazionale del Raggruppamento)
Capitolo Quarto: Il Sessantotto nero
(I primi successi alle elezioni universitarie. L’attenzione della stampa moderata. Le occupazioni degli atenei. La morte misteriosa di Achille Billi. La polemica sul Patto atlantico. Nasce il giornale del Raggruppamento, “L’Assalto”. Gli evoliani contro la Direzione nazionale: la prima occupazione della sede del MSI. I giovani e il secondo Congresso del partito. La crisi della segreteria Almirante. Baghino leader del Raggruppamento e De Marsanich segretario del MSI)
Capitolo Quinto: Crisi di crescita
(I fatti della Garbatella e la repressione governativa. Mieville torna alla testa del Raggruppamento. Grandi manifestazioni studentesche per Trieste. Nasce a Milano la prima Giovane Italia. La nascita del FUAN. Nuovamente occupata la sede del MSI, Mieville si dimette e torna Baghino. Gli schiaffi a Russo Perez. Nascono nuove riviste, “Imperium” di Erra a Roma, “Cantiere” di Primo Siena a Verona, “Riscossa” di Vitale e De Biasi a Napoli. La II Assemblea nazionale del Raggruppamento. Il Congresso europeo dei giovani di estrema destra)
Capitolo Sesto: Sul filo del rasoio
(Scelba vieta il Congresso del MSI. Manifestazioni in tutta Italia con i giovani in prima fila. La polemica sulla legge Scelba contro il neofascismo. Continua la battaglia per Trieste, Cominciano a scoppiare le bombe attribuite ai FAR. Arresto di Rauti, Pozzo, Erra. Continua la battaglia per Trieste. Nuove bombe, sempre senza vittime. L’ascesa di Caradonna a Roma. Siena si avvicina alle idee evoliane: la Carta della gioventù nazionale)
Capitolo Settimo: Alla sbarra
(La grande retata dei giovani accusati degli attentati: arrestati Evola, Graziani, Gianfranceschi, Capotondi. Baghino, ricercato, è esautorato da segretario del Raggruppamento. La gestione commissariale di Ciammaruconi. Il processo detto dei FAR. La sentenza favorevole agli imputati. Tripodi subentra a Ciammaruconi. Gli evoliani alla testa del Raggruppamento)
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