giovedì 3 dicembre 2009

NAPOLI, POLVERE, HMO





Quando entrai nell’Hmo i primi giorni dell’occupazione, l’elemento dominante era la polvere. Quintali di polvere e detriti. C’era tanto, troppo lavoro da fare. C’era da ridare vita e luce a spazi chiusi, lasciati al proprio destino per decenni. Come non pensare alla stessa condizione per Napoli e il suo popolo? Quei giovani sommersi di polvere sapevano della difficoltà di questo obbiettivo ed avevano tutti contro. Più che scoraggiarsi si rimboccavano le maniche.
A Napoli esistono da anni ben 7 centri sociali occupati. Talvolta nati da condizioni di degrado e disagio per interi quartieri della città, hanno ormai smesso ogni concreta funzione sociale retrocedendo al ruolo statico di zone franche per il consumo e la vendita di droghe, valvola di sfogo per le nottate di universitari borghesi alla ricerca di un anticonformismo kitsch.
Nel quartiere Materdei due mesi fa una nota stonò questo concerto. Veniva occupato un ex-monastero abbandonato dai giovani di Casa Pound. In così poco tempo una quarantina di ragazzi avevano bonificato buona parte di questa immensa struttura, impiantandovi una palestra, dando alloggio ad alcune famiglie nell’area circostante, organizzando corsi di doposcuola gratuiti. Avrebbero fatto e dimostrato molto di più, ma pochi giorni fa il monastero è stato sgomberato. Polizia, carabinieri, militari: un assetto di guerra alle sei del mattino per cacciare via 5 persone, tra cui una ragazza. La notte prima 60 “antifascisti”a volto coperto cercavano di forzare la porta con molotov e bombe carta. Non è stato l’unico episodio. La gente che viveva di fronte e che voleva intervenire veniva minacciata: i difensori della democrazia avevano con sè caschi, mazze, catene. Giorni indietro si erano mobilitati in migliaia provocando disordini e scontri con la polizia. Foto segnaletiche, agguati, tensione. Erano arrivati ad occupare appositamente un’altra struttura a pochi passi dal monastero con il chiaro intento di creare problemi e fare pressione per lo sgombero. Ma chi c’era in questo monastero di così pericoloso? Cosa avranno mai fatto i suoi occupanti per meritarsi tanto? I ragazzi sono colpevoli di aver realizzato a Napoli la prima occupazione non-conforme alle altre. Sono colpevoli di essere la novità che attrae e prevale sulla naftalina.
Non sono di sinistra. Per questo non si può tollerare la loro presenza.
In una prima fase fu la stessa Iervolino a deludere l’ala camorristica dell’antifascismo militante. Prima vediamo cosa fanno e poi li giudichiamo. Ma quando non basta sbattere i piedini alla rete politica di riferimento nelle istituzioni, si ricorre ad efficaci tecniche già sperimentate. Si fa uso della violenza, in più occasioni. Si esaspera con un’atmosfera da guerriglia la popolazione. Si fa sistematico, scientifico utilizzo dei media per trasformare attraverso piagnistei atti di prepotenza in vittimismo da “resistenza”. Ma questo essere “anti” senza esprimere qualcosa, questa attitudine profonda non a costruire sé stessi ma a distruggere l’altro, questo odio patologico esercitato con abusi e mediocrità, può davvero indebolire o solo rafforzare quei ragazzi -mostro?
Ora la porta del monastero è murata. Tra un po’ ritornerà il degrado che le istituzioni e qualche universitario tanto auspicavano . Quando le forze dell’ordine salgono al primo piano del monastero c’è un’atmosfera irreale. I ragazzi aspettavano a braccia conserte davanti alla porta delle loro camere. Quella polvere annunciava il suo ritorno, bisognava ricominciare da capo. I sogni si possono incatenare, zittire, forse anche sgomberare, ma non possono morire. Sanno rigenerarsi come in un ciclo, sanno ritornare più freschi e belli di prima.
Quei ragazzi se ne sono andati senza opporre resistenza, già si rimboccavano le maniche un’altra volta.

Matteo Cobalto

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